The books chosen by Andrea Salonia
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Comincerei così, elencandone il fenotipo. Senza scriverne titolo e autore, cosicché si scelga magari di leggerlo per quelle emozioni contrastanti che il romanzo di oggi ha certamente destato in me, e che forse in qualcuno sarò riuscito a evocare in fondo a questa breve pagina.
È spietato.
È ironico.
È triste.
È sardonico, virgineo e sprovveduto, ma pure navigato, consumato e vissuto, e tutte cose insieme.
È molto divertente.
È iconoclasta, inconsciamente – ma forse solamente forse – e comunque nel senso più vero del termine, perché è sapientemente critico e irriverente. Della famiglia, dei rapporti famigliari, della realtà per come ci appare e non siamo capaci – meglio: non vogliamo – vedere per com’è. Del politicamente corretto. Di molto altro.
È di un bel blu Niagara, dice il Pantone: codice 17-4123. Con in prima di copertina una signora in ocra e rosso che pare uscita direttamente dall’iconografia di quell’URSS che abbiamo conosciuto fino agli anni ottanta del secolo scorso, sguardo in avanti verso un futuro potente e roseo, bella e forte al tempo. Io ci sono stato in gita scolastica nel 1989; c’era la Perestrojka, e c’erano la neve, il freddo, Leningrado, una lunga ferrovia che collegava l’odierna San Pietroburgo alla capitale, con le carrozze dei treni dove a notte faceva un caldo irrespirabile; i magazzini Gum sulla Piazza Rossa in faccia al Cremlino, ma non ricchi e tutti dorati come poco prima di questa assurda e terribile guerra che stiamo vivendo: no, tutt’altro. C’era l’entusiasmo di noi liceali, del nostro folle prete preside accompagnatore che ci raccontava del mondo che stava per cambiare.
Anche per queste ultime righe scritte poco sopra, il romanzo di oggi è spregiudicatamente attuale: parla di migrazione, anche se dalla Russia alla Germania; par dileggiare le culture; par canzonare la solita religione che non diremo, ma lo sa fare con pacato umorismo, mai con amarezza o austerità; parla di salute, di eccesso di salute, di eccessiva difesa della salute, tanto da diventare di profonda comicità.
È commovente. Vi sfido a provare il contrario.
È assurdo, perfino. Per come in un paio di centinaia di pagine relativamente corte riesce a inscenare una commedia, quella dell’assurdo appunto, raccontandoci di un casus belli intra-famigliare, inter- generazionale, inter-culturale. E per come lo sappia fare lasciandoti un sorriso stampato in faccia, in bocca un sapore di arancio amaro, e poi due gocce di acqua salata al canto interno dell’occhio.
È sfrontato.
È senza tatto, come Vera, uno dei personaggi, di cui si scrive appunto che “…la mancanza di tatto… mi affascinava…”, tanto da doversi sforzare in ogni modo per soddisfarne la curiosità. Sarebbe stato tenuto nascosto ai miei occhi, se un bel giorno non mi si fosse palesato davanti per una di quelle imperscrutabili vie dei motori di ricerca nell’etere degli universi digitali e paralleli grazie alla potenza dei quali, senza sapere neppure come, conoscendo la mia passione per le parole scritte in fila indiana e messe nero su bianco su pagine di carta accolte in copertine lucide o opache, bianchissime di bucato oppure colorate di tutte le sfumature dell’arcobaleno della pace, dei movimenti LGBT+, dei bambini all’asilo, o più semplicemente della quiete disegnata in cielo dopo la tempesta, mi vengono proposti libri e libri e ancora libri dai contenuti e dalle origini più diverse e strane.
Ecco allora La treccia della nonna, edito per i tipi di Keller Editore. È della scrittrice Alina Bronsky, russa che vive ora a Berlino, e se avrete voglia di leggere La treccia della nonna son convinto odorerete i sapori di entrambi i mondi. È un romanzo vero e falso insieme, capace di narrare della vicenda umana di un bimbo che diventa grande – e ciò rientrerebbe in milioni di altri testi che hanno raccontato della formazione degli individui – ma la cui vita accade in un contesto culturale che non è il suo (sappiate tuttavia che non è l’ennesimo romanzo che racconti di migrazioni delle genti) e che sul proscenio della quotidianità diventa eccessiva, stravagante e fin schizofrenica.
È proprio curioso, insomma.
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Alina Bronsky, La treccia della nonna, Keller, Rovereto, 2022