Written by Erika Calcagnini
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Il segreto dell’uomo solitario viene pubblicato nel 1921, sono passati più di vent’anni da quando Grazia Deledda si è trasferita a Roma e nonostante la Sardegna, terra natia, riecheggia ancora in numerosi suoi romanzi, la scrittrice già da Nostalgie (1905) aveva sperimentato nuovi spazi narrativi.
Il romanzo in questione ha rappresentato una vera e propria trasformazione nella prosa deleddiana, piuttosto dibattuta da numerosi critici perché le additavano di essersi allontanata dal mondo sardo, dal quel sostrato sociale che albergava un po’ in tutti i suoi romanzi. L’ambientazione non è più quella tipicamente sarda; l’indefinito spazio geografico preannuncia il tono introspettivo della prosa che si fa via via sempre più simbolica. La narrazione volge lo sguardo al mondo interiore di Cristiano: l’uomo ha scelto di vivere in completa solitudine, lontano dalla società; soltanto Ghiana una giovane contadina dai fianchi ondeggianti allevia un poco l’antico dolore del protagonista.
Infatti Cristiano vive chiuso nella propria solitudine poiché “il solo istinto di rientrare nella comunità lo spaventava”, eppure la quiete apparente dell’uomo viene scossa dall’arrivo inaspettato di una donna, Sarina, che per la sua stessa storia sembra quasi tirar fuori, riportare alla luce, il segreto nascosto del protagonista. Da un lato Cristiano avverte la presenza della donna come un pericolo per la sua incolumità dall’altro ne è profondamente attratto. Il terrore di vedersi sottratta quell’esistenza sepolta della quale era abituato lascia spazio alla curiosità, al ritorno alla memoria di “libri romantici”, al desiderio di vita fino a quel momento assopito tra le mura di quella piccola casa tra la brughiera e la spiaggia.
“la prova di vivere solo era fallita: in fondo all’anima sentiva che aveva nuovamente bisogno di compagnia, di amore: era vivo ancora: e solitudine è morte.”
Ciò che lega Sarina a Cristiano è la condivisione di un dolore comune: la verità insita dell’uomo ricade su di lui come un’ombra, ma sembra combaciare perfettamente con quella di Sarina che viene descritta al contrario come una fanciulla che brilla di luce propria.
“Cristiano le stava accanto: non si toccavano, non si guardavano, non si parlavano, ma sentivano entrambi di aver cominciato un viaggio che dietro la morte li conduceva alla vita.”
La narrazione prende le forme di un percorso interiore fatto di monologhi e descrizioni paesaggistiche, dove la natura diventa partecipe attiva dei sentimenti del protagonista che muovono sempre più verso una presa di coscienza. Cristiano sente di dover lasciare Sarina al suo destino ma quando il marito di lei, un malato di mente oramai moribondo, viene a mancare, egli comprende che l’unica via per la guarigione sarà quella di ricongiungersi con il mondo, con l’amore, con la donna di cui si è innamorato.
Il segreto dell’uomo solitario viene dunque scoperchiato nell’ultima parte del romanzo, quando il peccato, tema assai caro alla scrittrice sarda, sembra riunire con un filo invisibile il passato con il presente. In ultima istanza l’impossibilità di Cristiano di redimersi dalla malattia interiore lo riconduce nel sogno nefasto che si tramuta in un calmo risveglio: solo allora tutto diventa luce e gioia per non far scontare ai figli le colpe dei padri.
Dunque il romanzo racchiude una delle prove più apprezzate della Deledda: quella di sperimentare luoghi e contesti nuovi, pur rimanendo fedele a quei valori che hanno da sempre contrassegnato tutta la sua opera.
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Grazia Deledda, Il segreto dell’uomo solitario, ILISSO, Nuoro, 2005