Written by Laura Zona
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Il medico, in ospedale, fu lapidario: “Per precauzione dovrà restare confinato a casa almeno per quaranta giorni!”
Tentai di ribattere ma compresi, dal suo sguardo, che non c’era possibilità di appello.
Seduto nel taxi che mi riportava a casa, pensai all’ironia della vita: ero passato indenne da un bombardamento a Baghdad ed ora, un banale virus, forse contratto in Cina, mi obbligava agli arresti domiciliari.
Entrato in casa provai l’impellente bisogno di spalancare la finestra. Il panorama che si palesò mi lasciò senza parole: non mi ero mai accorto della bellezza delle dolci colline e dei variopinti campi coltivati che si stendevano davanti ai miei occhi. Eppure si trattava dello stesso paesaggio che vedevo da trent’anni. Ma l’avevo visto per davvero?
Istintivamente presi la vecchia Canon e lo immortalai con uno scatto. Fu il primo di tanti che si susseguirono con puntualità: quell’angolo di “casa” ogni mattina mi rivelò, con stupore, che gli scatti non erano mai uguali.
I colori, la luce e i protagonisti risultavano sempre diversi: gli arabeschi disegnati dal trattore nel campo di grano, il ciclista che arrancava su per la collina, le rondini che volavano a distesa nel cielo, mia madre intenta a stendere i panni e…un bambino che correva sul prato libero e felice.
Mi colpì la lunga e ininterrotta fila disegnata dalle formiche sul davanzale della finestra, sembrava seguire la scia tracciata nel cielo dalla rotta di un aereo e faceva pensare, con meraviglia, che nel grande è il piccolo e viceversa. Mi ero semplicemente limitato a guardare il mondo dall’oblò di un aeroplano, correndo da un posto all’altro, preso dalla fretta di arrivare chissà dove. In realtà non ero mai partito.
Possiamo viaggiare senza muoverci: dalle nostre convinzioni, dal solito modo di vedere ciò che ci circonda, pensando di essere superiori a tutto. Ma possiamo restare fermi e viaggiare con la fantasia, come fanno i bambini che giocano con niente e gioiscono di tutto.
Osservare il paesaggio, quel mattino, mi aiutò a capire quanto fossi diventato convenzionale e noioso, avevo dimenticato di guardare la vita con stupore e l’album di scatti raccolti mi aiutò a mettere insieme i pezzi di me che si erano sparpagliati in giro per il mondo. Mi è sembrato di tornare a casa, finalmente.
È curioso pensare che un essere microscopico possa mettere in ginocchio un gigante, ma gliene sono grato perché mi ha cambiato la vita.
Adesso ho due nuove, fedeli compagne di viaggio: la macchina fotografica e la bicicletta. Non potrei più fare a meno di loro: una mi ha insegnato a guardare gli scatti della vita; l’altra mi permette di viaggiare ma con un passo diverso, talvolta mi lancia lungo discese ardite che tolgono il fiato, spesso mi costringe ad andare a piedi per darmi il tempo di vedere per conoscere. Ho capito che non esistono solo i paesaggi naturali, ma anche quelli umani che compongono la variegata multicolore specie di cui tutti facciamo parte.
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