“VENERDÌ DI-VERSO”
Nessuna di queste cose esiste. Non avete nessun motivo di credermi.
…la temperatura si alza, è del tutto sgradevole, ma la rana si è indebolita, non ha più la forza di uscire. Se fosse stata gettata nell’acqua già bollente, con un colpo di reni sarebbe saltata fuori.
Conoscete la metafora della rana nella pentola d’acqua calda? Chomsky la usò per descrivere l’individuo immerso nel degrado della società.
Carmen Maria Machado, nelle 300 e più pagine del suo memoir, la reinterpreta immergendo un corpo (il suo) in una relazione che lentamente, inesorabilmente arriva al punto di ebollizione. È una rana che ha trovato il modo e la forza di saltare fuori e che cerca le parole per raccontarci cosa le è stato fatto e cosa si è lasciata fare. “Non è un’impresa facile mettere il linguaggio su una cosa per cui non esiste linguaggio.”
Esiste un linguaggio della violenza, c’è uno storico di riferimento (basti pensare al celebre saggio “Donne che amano troppo”), ma come puntualmente ricorda Machado, parlare di abuso all’interno della comunità queer è una pessima, pessima pubblicità. Meglio lavare i panni sporchi in casa, ché ci sono così tante altre battaglie da portare avanti, punti d’eccellenza da sottolineare, comportamenti virtuosi di cui farsi portavoce. Perché “le persone ai margini devono essere migliori di quelle inscritte nella normalità, hanno il doppio da dimostrare.”
Machado non solo racconta la sua personale vicenda di donna queer abusata dalla compagna a beneficio di chi ha vissuto o vive il medesimo contesto distruttivo, ma compie anche altri due movimenti fondamentali:
Primo: osserva al microscopio tutti i meccanismi della sua relazione, tutti i dettagli infinitesimali che ne hanno alzato la temperatura fino a renderla insostenibile. Non solo: ci accompagna nel prima e nel dopo, cercando di illuminare tanto le radici quanto i frutti del suo vissuto.
Secondo: allontana lo sguardo e inscrive la sua storia in un archivio ben più ampio, quello delle relazioni emotivamente abusive tra persone dello stesso sesso, un sottoinsieme perfettamente e terribilmente coerente rispetto al suo contenitore, la violenza domestica in senso lato.
È in questo doppio movimento che il lettore resta invischiato, avvolto da una spirale crescente d’angoscia, un profondo senso di disagio che è emotivo, per dolorosa empatia con la voce narrante, ma anche intellettuale, per l’evidenza disarmante del fatto che di queste realtà, così diffuse, così crudelmente comuni, non si è parlato abbastanza.
Non si è parlato abbastanza dell’effimero, ci dice Machado, di quello che non lascia lividi in faccia o sulle braccia, di quello che può farti a pezzi tutti e tre i cuori senza lo straccio di una prova. In quest’autobiografia, che è anche saggio e romanzo, emergono allora lo sgomento di colei che, immersa nei propri sentimenti, ha giustificato ogni irragionevole abuso; il senno di poi, lo sguardo lucido e raziocinante di chi unisce i puntini della propria storia per cercare la coerenza della causa e dell’effetto; il coraggio di raccontare, di fottersene della cattiva pubblicità, anzi di rivendicarla: è il diritto di compiere scelte sbagliate, come tutte, come tutti.
C’è l’invito a non distogliere lo sguardo, per quanto sconfortante sia la vista. Perché ci piacerebbe tanto pensare che cambiando i fattori mutasse anche il risultato, che togliendo dall’equazione una certa mascolinità tossica tutto si risolvesse in un idillio da favola. Ma così non è e la casa dei tuoi sogni può diventare la casa dei tuoi incubi anche senza peni a complicare la situazione. E ci vuole in ogni caso tantissimo coraggio per aprire gli occhi, alzarsi e andarsene, chiudendo la porta alle proprie spalle, senza rinunciare alla speranza di una nuova casa, una casa che accolga, protegga, una casa da costruire su altre fondamenta, che non siano incrinate dalla paura.
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Carmen Maria Machado, Nella casa dei tuoi sogni, Codice Edizioni, Torino, 2020
Edizione Originale: In the dream house, Graywolf Press, Minneapolis, 2019