“Io volevo tornare nella pancia della mamma e non nascere mai più.”
Il libro è un’autobiografia asciutta e struggente. La scrittrice ci racconta la propria vita, dall’infanzia fino ad oggi, e ci affida, senza soffermarsi in pietismi, la difficile vita vissuta in Ungheria tra la povertà della sua famiglia, la traumatica esperienza della deportazione nel lager, la sofferenza e lo strazio e infine il vivere da sopravvissuta.
Potremmo facilmente dirci che sì, si tratta di un’altra utilissima e commuovente storia di una sopravvissuta, ma non è tutto qui. Nonostante lo stile scarno della nostra speciale narratrice, che in un continuo moto descrittivo continua a raccontarci la propria vita senza volerci dire più di quello che già sappiamo, da altra letteratura e da altre testimonianze, sulla vita nei lager e senza volerci risparmiare i crudi particolari.
Ciò che più ci ha colpito è stato proprio il connubio tra essenzialità e ricchezza di particolari, che a prima vista pare un concetto antitetico, ma sta in questo, per noi, la bellezza della scrittura dell’autrice.
Il lessico, sebbene sia essenziale, in realtà in maniera lapidaria veicola concetti densi di significato. Il racconto della vita nei lager si sofferma particolarmente sulla disumanità in cui erano costretti a sopravvivere i prigionieri; e allora risulta estremamente eloquente l’uso di gridi per indicare le urla degli uomini, al posto del più grammaticalmente corretto grida. I gridi sono propriamente quelli degli animali: qui di uomini trasformati in animali, che hanno perso la propria identità, a partire dal nome, trasformato in numero, costretti a vivere in branco come bestie.
Ma non è tutto qui: Edith Bruck fa un passo avanti e ci racconto il dopo.
Come si vive dopo? Ma soprattutto perché si sopravvive? Da queste domande parte la confessione dell’autrice, che vive in una continua fame di libertà, di vita che si manifesta nella voglia, o meglio nella necessità viscerale, di raccontare ciò che è stato. Di raccontarlo a noi.
Non vi sveliamo nessun particolare, né la bellezza del titolo, ma vi consigliamo la lettura perché lo definiamo un racconto onesto, che non vuole suscitare nessuna facile lacrima.
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Edith Bruck, Il pane perduto, La nave di Teseo, Milano, 2021