Dieci parole (2 di 2)

Scritto da Laura Zona

 


 

“Tobia…ma che ti è preso?” disse la donna, mentre agganciava il guinzaglio al collare. Poi, alzò lo sguardo su di me, guardandomi con sorpresa. “Paolo…” il silenzio calò, improvviso, in quell’angolo del bosco. “Che ci fai, qui… con quella cosa in mano?”

“Primo: come poteva conoscermi quella donna? Secondo: proprio in quel momento doveva arrivare la bestiaccia? Terzo: adesso cosa potevo fare?”. Fu la rapida sequenza di pensieri che attraversò la mia mente.

“Tobia! Seduto!” disse la donna, richiamando il cane. “Non temere… Incute timore ma, in realtà, è buonissimo… Segue solo il suo istinto di cane da riporto… E tu eri la sua preda! “ la frase fu accompagnata da una risata che mi destabilizzò.

“Ma chi è costei che ha il coraggio di ridere in un momento così tragico?” dissi fra me, piuttosto infastidito dal suo sguardo. Avevo la sensazione che mi stesse facendo una radiografia. “Ma… tu, Paolo, sei sempre uguale!” ebbe il coraggio di aggiungere.

“Sembra quasi soddisfatta di avermi trovato…Che beffa!” pensai, stizzito. Il mio piano era miseramente sfumato. “Mi riconosci? Sono Marinella… Eravamo compagni di scuola alle medie e al liceo… Non ti ricordi di me?”. Continuò lei, senza lasciarmi il tempo di ribattere.

“Posso invitarti a bere un caffè? La casa dei miei è poco distante, proprio alla fine della borgata… Vicino al sentiero che porta nel bosco…Sai, i miei genitori sono mancati quest’anno ed io sono tornata per mettere tutto in vendita…Tobia era il loro cane… Non so che ne farò di lui… Io abito fuori Roma…Vivo con i mei figli… Gestiscono un bagno a Ostia…Che bello rivederti…” Parlava a raffica. Non riuscivo a pensare. La seguii come un automa, stordito. Improvvisamente mi ricordai di lei.

Rividi tutte quelle ragazze che mi inseguivano, per la strada. Fuggivo, impacciato e spaventato. Mi nascondevo, per paura dell’amore. Entrato in casa sua, sedetti al tavolo di cucina. Tenevo la pistola in grembo. Continuava a parlare, mentre preparava il caffè.

“Penso che, anche un bicchierino di grappa, ti faccia bene… Sei così pallido…Ho qui una bottiglia conservata dal mio papà, te la faccio assaggiare…”. Mi porse il bicchiere ed io lo trangugiai. Bruciava nello stomaco. Scaldava la testa. Ne bevvi altri due, mentre l’ascoltavo. La testa girava, ma mi dava forza. Non so perché, più la guardavo, più mi ricordavo che, allora, anche lei mi piaceva. Aveva un sorriso disarmante e la sua risata metteva allegria.

“Eri bellissimo…cioè… non è che adesso sei diverso…anzi, sei sempre uguale…” il suo sguardo incantato mi metteva soggezione.

“Ero innamorata di te… tutte lo eravamo… Ma tu non mi hai mai degnata di uno sguardo… Scappavi, quando mi vedevi… Poi il tempo è passato, ho incontrato Antonio…un ufficiale dell’esercito. Si trovava, qui vicino, per un’esercitazione militare. Ci siamo conosciuti in discoteca e… mi sono sposata. Era di Roma. Sono stata davvero felice con lui. È morto, improvvisamente, al ritorno da una missione in Kosovo…non ho mai saputo cosa sia successo…quei proiettili all’uranio impoverito…”. Si fermò, un istante, colta dall’emozione. Sembrava aver tenuto dentro quelle parole per tanto tempo.

Non so come, ma balzai, di scatto, dalla sedia e l’abbracciai.

“Perdonami…perdonami…perdonami…”continuavo a ripeterle. Avrei spaccato il mondo, tanto grande era la rabbia che cresceva in me.

“È tutta colpa mia, se lui è morto!”. Pronunciai quelle parole, disperato. Poi, non so come, la baciai. Quasi con violenza. Non mi rifiutò. Anzi, qualcosa in lei diceva di continuare. Mi svegliai, nudo, in un letto vuoto. Non capivo dov’ero. Forse avevo sognato. Era rimasta, però, la bellissima sensazione di aver volato. Finalmente libero, dopo tanto tempo. Quando la vidi arrivare, sorridente, mi resi conto di quanto fosse giovane e bella.

Come al tempo dei nostri diciotto anni. Portava un vassoio, pieno di cose buonissime da mangiare. Lo appoggiò sul comodino e si sdraiò accanto a me. Mi diede un bacio, dolcissimo. Sentii che il rigido cordone, tenuto da sempre al posto del cuore, si stava sfilacciando.

Potevo permettermi di lasciare entrare aria nuova nella mia anima. Le accarezzai il viso, grato per il dono ricevuto. Sapevo, però, di doverle chiedere dov’era la pistola, ma temevo, per questo, di farle del male. Ho capito, con il tempo, che le donne sanno sempre tutto. Guardandomi negli occhi, come se mi leggesse dentro, Marinella aggiunse “ È finita nello stagno…tanto non ti serve più”.

 

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