“Dai nostri genitori, dico, ho imparato una cosa sola, che figli non bisogna farne.”
Un libro destinato a diventare un classico della letteratura italiana per quanto bello e tondo e completo e intenso e inaspettato e. La sintassi agevole e la struttura organica del racconto lo rendono una lettura destinata a qualche antologia scolastica.
Il racconto narra le vicissitudini di una famiglia della medio borghesia napoletana nel corso degli anni. Diviso in tre macro-capitoli, il racconto riporta il punto di vista dei diversi attori in scena: la moglie/madre, il marito/padre e i figli/genitori. Mossi da paure, insicurezze ed egoismi, tutti agiscono per far del male, più o meno involontariamente, agli altri membri della famiglia, ma così facendo non fanno altro che rendere più meschina la propria esistenza, come una pena da scontare per peccati commessi in mille altre vite precedenti.
Senza vergognarci ammettiamo di esserci anche commossi in alcuni passaggi del racconto, specialmente in quei punti in cui la verosimiglianza di parole e atteggiamenti usciva fuori dalle pagine e ci faceva rivivere momenti del nostro stesso ambiente familiare.
Ne consigliamo la lettura a tutti gli uomini e le donne che si apprestano a sposarsi e poi diventare padri e madri, perché se è vero che sono ruoli che si possono imparare solo con la pratica, è altrettanto vero che alcuni macro errori si possono evitare senza troppa difficoltà. Mettere al primo posto i figli e poi il proprio partner, anche quando l’amore assume altre forme nel corso degli anni e i dubbi iniziano ad assalire la torre delle certezze emotive su cui pensavamo di aver trovato riparo dalle tentazioni della vita.
Un discorso particolarmente vero per gli uomini, perché se è vero che ogni donna nasce madre, ogni uomo rimane bambino. Sono spesso loro (non sempre lo sappiamo) ad abbandonare il tetto coniugale per seguire i sogni di una gioventù perduta di cui non si riescono a farsene una ragione, rovinando la vita a coloro cui la vita l’hanno data.
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Domenico Starnone, Lacci, Einaudi, Torino, 2014
One comment
Ida Mazzarella
4 Ottobre 2020 at 16:01
È una storia tagliente che ti lascia una ferita come quando tocchi un vetro rotto.
Costruito a perfezione, trivo che sia uno dei romanzo più potenti del mio amato Starnone, indagatore delle oscure banalità dell’animo umano.