“Dovreste fare come se l’anno finisse ogni giorno. Come se finisse ogni ora. Ogni minuto. Ogni minuto dovreste pensare che l’anno sta per finire.”
Uto Drodemberg. Basta il solo nome per disegnare il fascino del protagonista del libro. Un personaggio spigoloso, forse in parte infantile in alcuni atteggiamenti, ma di cui è veracemente difficile non innamorarsi già della prime pagine. Ironico, sagace e alla ricerca della verità capace di annientare l’ipocrisia e le sovrastrutture relazioni del mondo che lo circonda. E, forse, è proprio questo suo modo diretto di entrare in contatto con le persone il suo maggiore pregio.
Uto è un diciannovenne talentuoso suonatore di pianoforte, milanese nel midollo, spedito dalla madre negli Stati Uniti dopo il suicidio del patrigno. Qui è ospitato a Peaceville in Connecticut, da una famiglia di amici, all’interno di una comunità votata all’estrema dolcezza e tolleranza. Un mondo parallelo, artificiale, di amore universale da infastidire a pelle persino il lettore.
Dietro una maschera di abiti in pelle e occhiali neri, Uto arriva allo scontro con tutti i personaggi della famiglia ospitante, mettendone a nudo le incoerenze e i problemi. Il confronto leale e sincero sarà inevitabile per far affrontare a tutti i membri della famiglia di cui è ospite i problemi e le questioni aperte, senza nasconderli sotto un tappeto di buone intenzioni e costrizioni.
Una crescita graduale ma continua, grazie alla quale il nostro giovane guerriero (Uto rimarrà anche ferito gravemente nella sua crociata contro l’ipocrisia) sarà chiamato a prendere il posto del vecchio guru della comunità e a guidare Peaceville verso un nuovo realismo.
Uto, assieme a Yucatan, è forse uno dei romanzi più sperimentali di De Carlo. Prosa semplice ma non semplicissima, ricerca di aggettivi mirati e audaci accostamenti verbali, rendono la lettura scorrevole e piacevole. Un’opera ben riuscita che ci spinge a consigliarne la lettura a tutti, anche ai ragazzi più giovani.
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Andrea De Carlo, Uto, Bompiani, Milano, 1995