“VENERDÌ RE-VERSO”
“La mia vita è un accidente predicabile, violentatore. Non definisce ontologicamente la mia esistenza bensì la occupa come un manipolo di soldati”.
Il 25 gennaio è uscito per Nottetempo “Mammut”, l’ultimo tassello del trittico di Eva Baltasar, triade iniziata nel 2019 con “Permafrost” e proseguita con “Boulder” nel 2021(date d’uscita italiane). Il gelo, il macigno, l’immenso animale. Vade retro, anime candide.
Così insomma, prima di trattenere il respiro e ributtarci in queste gelide acque, scegliamo di rileggere il primo capitolo, che all’epoca incise un taglio talmente profondo da lasciarci ora trepidanti e inquieti di fronte al nuovo volume fresco di stampa. Allora fu epifania e stordimento, divorato con la stessa voracità di chi non sa aspettare che la caramella si sciolga in bocca e allora la frantuma avido, per arrivare subito al ripieno. Oggi rimane intenso, ugualmente folgorante, forse e per fortuna meno doloroso.
Premessa. Esiste tutta una genealogia di scrittrici spietate in cui Baltasar si inserisce a pieno diritto: donne che mischiano corpi fatti di organi e umori e piaceri con sentimenti spogliati di ogni abbellimento, affilati come carta, fastidiosi e impudichi. Come se trama e stile si richiudessero su se stessi per tirarci un cazzotto in faccia. Ergo, si richiede al lettore una certa sintonia del sentire, un certo malessere perpetuo accolto oltre le difese della ragionevolezza, un’attitudine all’intensità che non si premuri di accertarne l’origine benedetta o diabolica.
E quindi permafrost: suolo perennemente gelato in profondità. Sopra: un sottile strato superficiale attivo. Sotto? A saperlo. Percepirsi come somma di strati, di cui alcuni apparentemente inscalfibili, la stratificazione stessa come causa e conseguenza di un certo modo di stare al mondo. Conseguenza della famiglia, ad esempio: vedi alla voce “madre”, vedi alla voce “inadeguatezza”, vedi alla voce “difesa”. Causa di una complicatezza relazionale che porta a percepire il sesso come il sommovimento più superficiale e insieme più comprensibile: “Il sesso mi mantiene presente e salva in uno spazio intangibile ma rassicurante”.
Tutto il resto? Lontano, lontano – nascosto in reconditi recessi, neutralizzato, anestetizzato. Schizofrenica ambivalenza di intensità ed estraneazione, dentro e fuori, sopra e sotto lo strato gelato. Accanto all’amore – il più lontano possibile da esso, in un equilibrio liminale tanto esasperante quanto essenziale. Leggere questo romanzo è come fare un’autopsia a un corpo vivo: c’è l’incisione esatta del bisturi sulla pelle fredda e ci sono cavità oscure e ribollenti, connessioni imprevedibili, dolori non localizzati di cui vorremmo, di grazia, capire l’utilità, così come dal sintomo si ricava la malattia che lo ha generato. Perché il corpo vive, ostinatamente, impunemente, anche e soprattutto contro la volontà, svincolato da ogni bisogno di sensatezza. E la mente? Di una donna barricata nel gelo Baltasar puntella tutta la superficie, fino a trovare la crepa, il dubbio, “attraverso cui si infiltra il calore del mondo” – fino a quell’infinitesimale, necessario barlume di senso: trovarlo in una bambina e così accettare senza condizioni tutto quel brancolare di una vita sconnessa, selvaggia, e scorgere al contempo un posto in cui sentirsi vulnerabili sì, ma umani.
Nel romanzo di Baltasar, ad un certo punto, la protagonista ammette di mentire in continuazione, al limite della patologia. Questo pone, o dovrebbe porre, qualche problema al lettore. Ma se accogliamo la menzogna come costitutiva del permafrost, capiremo in quale modo questa consapevolezza regali alla storia una doppia luce, al pari di un riflesso sul vetro che ci impedisce di scorgere chiaramente ciò che si cela all’interno. Vedremo allora due immagini, la finzione e la verità, complementari in ciò che una dice dell’altra, riconosceremo forse alcune delle nostre stesse bugie, ciò che ci raccontiamo di noi al di sotto del nostro personalissimo permafrost, fatto di delusioni, traumi, incomprensioni: e se useremo quel bisturi sulla nostra carne, curiosi di sapere cosa c’è sotto, avremo forse anche noi una chance di vivere davvero.
Recensione di Delis
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Eva Baltasar, Permafrost, Nottetempo, Milano, 2019
Edizione Originale: Permagel, Club Editor, Barcelona, 2018