“L’unica felicità reale è quella di cui ti accorgi mentre la vivi.”
Se la vostra idea è quella di aprire un libro con una trama classica e una suddivisione i capitoli più o meno lunghi, questo libro non fa per voi.
Se invece avete intenzioni di fare un tuffo dentro una nuova sfera di consapevolezza interiore, allora prendete una boccata di ossigeno a pieni polmoni, e immergetevi nella lettura.
Una galleria di ricordi e constatazioni sul senso della vita e del tempo che scorre, su quello che rimane di noi nel mondo quando i giorni a venire sono meno numerosi di quelli passati, e su quello che rimane dentro di noi del mondo, quando siamo saturi di vita.
Un testo in stile Memoir, ma in terza persona singolare. La memoria dell’autrice sovrapposta a perfezione a quella del resto del mondo da lei conosciuto, dei suoi coevi. Non a caso non si trova mai il pronome personale io, ma una più generica terza persona, come a dire che è una memoria condivisa.
La vecchiaia e la consapevolezza di quello che non c’è più come una malattia terminale. Non è un caso che per certi aspetti ci ha ricordato come architettura stilistica e tema di sottofondo, un altro libro sempre moderno della letteratura francese, come “Lo Scafandro e la Farfalla”: la capacità di apprezzare il mondo, solo quando è troppo tardi, e si è costretti a vivere di ricordi.
Nonostante il respiro internazionale del testo, i continui riferimento della scrittrice alla società e alla cultura francese ci hanno fatto sentire di non aver colto a pieno il libro in tutte le sue sfumature; ed è forse il più grande rimpianto che abbiamo. Lo stesso dispiacere che avevamo da bambini quando vedevamo un arcobaleno in cielo, nonostante la sua bellezza rimanevamo sempre con l’amaro in bocca per non riuscire a vedere dove nascesse, come se ci fosse stato tolto qualcosa di importante.
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Annie Ernaux, Gli anni, L’orma, Roma, 2015
Edizione originale: Les années, Gallimard, Paris, 2008