Written by Franco Casadidio
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Anche se immaginava già la risposta, Franco amava stuzzicare suo figlio intorno all’argomento “ragazze”.
“Cosa ne penso? Penso che non ci sia nulla da dire, le ragazze sono così smorfiose che non vale neanche la pena studiare un modo per guardarle senza essere visto: basta non guardarle affatto e il problema è risolto. Noi a scuola facciamo tutti così!”.
Franco stava per replicare che quel pensiero sarebbe rimasto immutato ancora per poco nella testa di Luca e dei suoi amici e che poi il problema di guardare o meno le ragazze se lo sarebbero posti eccome ma, per non allungare troppo la discussione, decise di lasciar cadere l’argomento.
“Il giorno dopo il nostro arrivo visitammo l’Olympiapark e, com’era prevedibile, andammo tutti a vedere l’Olympiastadion in una sorta di pellegrinaggio quasi mistico. Qualche settimana prima il Bayern aveva piegato il Real Madrid 3 a 2 con un gol di Mattheus e a me, affacciato alla balaustra alla sinistra della tribuna centrale, parve di rivedere quel missile calciato su punizione nella cornice innevata dello stadio.
Al pomeriggio ci recammo a Nynphenburg e la sera cenammo all’Hofbrauhaus con qualcuno che, fidandosi troppo delle sue reali o presunte doti di bevitore, riuscì a tornare in albergo solo grazie all’aiuto di qualche compagno meno sbronzo di lui.”
“Papà, sbrigati, siamo quasi arrivati”. L’autostrada A95 era quasi terminata e all’orizzonte erano ben visibili i primi edifici della periferia monacense, così Franco, portò a termine il suo racconto.
“Dopo quattro giorni venne il momento di ripartire, non prima di aver visitato il Deutsches Museum e il Museo della BMW. Molti erano contenti di tornare a casa; qualcuno sentiva la mancanza della propria ragazza, altri quella delle tagliatelle della mamma. Io, tra tutti, ero l’unico triste, l’unico che ripartiva lasciando a Monaco un pezzo di cuore. Avevo scoperto una città bellissima, pulita, ordinata, una città dove i mezzi pubblici funzionavano alla perfezione ed era un piacere utilizzarli. Quello che mi aveva colpito era il doppio volto che sembrava avere la città: giravi in centro e respiravi l’atmosfera di una grande metropoli europea, poi ti allontanavi di qualche isolato e, come per incanto, sembrava di essere in un piccolo paese dove regnavano calma e tranquillità”.
“Conoscendoti credo proprio che sia questo l’aspetto che ti è piaciuto di più, vero papà?”.
“Esatto, Luca, è proprio questo uno degli aspetti che più mi hanno fatto innamorare di Monaco. Mi ha sempre sorpreso come nel giro di poche centinaia di metri si possa passare dalla coinvolgente e briosa atmosfera di Schwabing alla tranquillità delle viuzze laterali che circondano l’Englisher Garten; è come vivere in due città contemporaneamente”.
“E poi c’è l’efficienza dei mezzi pubblici che, per un ambientalista come te, è fondamentale, no?”.
“Certo. Purtroppo nelle nostre città fare a meno dell’auto è quasi impossibile a causa dei mezzi pubblici che funzionano poco e male mentre a Monaco si può; i trasporti funzionano benissimo ed anche chi non possiede un mezzo proprio può raggiungere qualsiasi punto della città e del suo hinterland. Sai cosa ti dico? Che secondo me questo aspetto ha anche una valenza sociale”.
“In che senso, papà?”.
“Te lo spiego subito. Quando i servizi di trasporto pubblico funzionano bene anche le persone di classi sociali più svantaggiate, quelle che hanno meno risorse economiche e non hanno la possibilità di acquistare e mantenere un’auto propria, riescono a spostarsi per raggiungere non solo il proprio posto di lavoro ma anche luoghi di villeggiatura e svago; sai che dal centro di Monaco in poco più di mezzora di S-Bahn si può raggiungere il bellissimo lago di Starnberg che dista circa 40 chilometri? E questo ogni giorno dell’anno, festività comprese. Tutto questo ti fa capire la diversa concezione del trasporto pubblico nei due Paesi e la sua valenza sociale; da noi, a chi non ha un mezzo proprio è preclusa anche la possibilità di qualche ora di svago fuori dalla città”.
“E’ vero – disse Luca come folgorato da quelle parole – sai che non avevo mai riflettuto su questa cosa? É veramente un aspetto importante, anche per i più giovani”.
“Certamente, soprattutto per i giovani che così si abituano fin da piccoli ad usare i mezzi pubblici a tutto vantaggio anche dell’ambiente in cui vivono”.
“Cercherò di ricordarlo quando torneremo a casa. Adesso però credo sia meglio che tu accenda il navigatore, non vorrei che ci perdessimo e…”.
“Stai tranquillo, conosco Monaco come le mie tasche e non potrei mai perdermi”. Lasciata la Hans Steinkohl Strasse con una svolta a destra, i due si trovarono inaspettatamente in una strada laterale che, palesemente, non aveva via d’uscita.
“So cosa vorresti dire, ma ti prego di non farlo – disse Franco senza distogliere lo sguardo dal muro di mattoni che chiudeva la via.
“Accendi il navigatore, per favore”.
In pochi secondi, armeggiando sul touchscreen con la maestria propria delle giovani generazioni, Luca arrivò a impostare il gps sul luogo di destinazione, l’hotel Econtel in Bodenseestrasse, lo stesso che trent’anni prima aveva accolto il gruppo di studenti in gita.
Dopo pochi minuti l’auto si arrestò nel parcheggio dell’hotel e Franco, dopo aver ringraziato il figlio per il prezioso aiuto senza il quale non sarebbe mai riuscito a raggiungere l’albergo, scese dalla macchina e con gli occhi umidi dalla commozione si avviò verso l’ingresso dell’hotel.
Erano passati tre decenni da quella prima volta a Monaco ma l’uomo sentiva battere forte il cuore, oggi come allora, e quella era la stessa sensazione che provava ogni volta che arrivava nella capitale Bavarese.
“Non è mai facile – pensò – spiegare agli altri come ci si possa innamorare di una città che, per giunta, non è neanche quella in cui sei nato, ma se potessero sentire come batte il mio cuore ora, allora sì che capirebbero, e ogni parola diventerebbe superflua”.
Assorto nelle sue considerazioni, l’uomo era rimasto immobile davanti la porta dell’albergo e Luca, voltandosi, sembrò capire per un attimo i pensieri che affollavano la testa del padre; in un gesto di infinita tenerezza allungò la sua mano verso quella del genitore, stringendola forte.
“Vieni papà, entriamo, non vorrai mica restare tutta la sera impalato qui fuori; ci aspettano tre giorni bellissimi a Monaco e soprattutto, ci aspettano i miei würstel, ti ricordi che stamattina mi avevi promesso che ne avrei potuti mangiare quanti ne volevo?”.
Accompagnato per mano da suo figlio Franco entrò, risvegliandosi dai suoi “sogni”; quelli che li attendevano erano tre giorni da vivere intensamente, tre giorni che, ne era certo, sarebbero stati indimenticabili, come tutti quelli vissuti ogni volta a Monaco di Baviera.
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