The books chosen by Andrea Salonia
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Nulla. Non c’è niente da fare: il tema è il mio.
Genitore. Padre. Madre. L’attesa. L’incognita. La sorpresa. Il dolore. La frustrazione. L’agitazione. L’inquietudine. Il senso di inadeguatezza. Il turbamento. La superficialità. Il subbuglio. I silenzi. Il silenzio tra due persone quando stanno bene, che ha una certa qual frequenza alta e vibrante – scrive Cavina – mentre quello di due che non sono a loro agio ne ha un’altra, che sprofonda in buca. La profondità dei rapporti. I figli che arrivano. I figli che non arrivano. I figli che ci sono. I figli che si vorrebbero. I figli che non ci sono. La nascita. Il figlio. L’esser figlio. L’essere padre. L’essere madre. La figlia. Le parole che avremmo voluto dire. Le parole che avremmo voluto sentire. Le parole che non abbiamo detto. Le parole che non abbiamo sentito. Il padre che si sarebbe desiderato. La madre che c’è. La madre come l’avremmo sognata, infinita, nel senso di imperitura. L’incomunicabilità. L’approssimazione. La fretta. Il paternalismo. La severità delle parole. L’empatia. La mollezza dolce delle carezze. Gli abbracci. Gli schiaffi. Le parole che son pugni. Le parole che son calci. Le parole che si fanno come un sasso gettato nello stagno, i cerchi nell’acqua, continuano, si riverberano e son ridondanti: talvolta vorremmo che lo fossero, talaltra che si spegnessero subito, e mai fossero state. La gioia. La gioia grande. Una gioia immensa. La perdita. Lo strazio. Il vuoto. La parola mamma. La parola papà.
Ecco perché La parola papà di Cristiano Cavina, Bompiani editore, è il libro di oggi.
Non so se sia un romanzo riuscito. Non ne conoscevo l’autore, mea culpa, perché pare sia noto a molti, se non a tutti. Ma è certo che sono estremamente geloso di molto di quello che è scritto, per come è stato scritto, per la tecnica con cui Cavina è riuscito a rendere brillanti le parole in fila, a dettagliare circostanze e pensieri, e per la sfrontatezza educata e bonaria con cui spesso le cose sono dette. Palesi. Senza fronzoli. Tipo che la vita non è stata, quella dei genitori prima dell’essere dei genitori, come se morissimo senza farci caso, dentro gli altri che divengono, pur continuando a vivere; come se nulla fosse stato degno o importante prima che uno di loro – dei figli, ndr – cadesse nel mondo. Nel mondo tutto, ma soprattutto nel mondo dei padri, che è sempre un poco diverso da quello delle mamme. Questo almeno è ciò che da più parti si vorrebbe intendere, o proprio viene detto papale papale. Come se la cosa – divenire padre, avere un figlio, tenere una figlia tra le mani, piccola, liscia e vellutata come un seme di avocado – potesse accadere accidentalmente. Quasi un incidente. Come se la parola papà nascondesse un evento puramente epigenetico, legato all’ambiente, alle abitudini, al caso, alla situazione, all’apprendimento rituale delle parole da dire e dei gesti da compiere. No, e sì insieme.
Io sono per la teoria del Prof. Baldoni, in accordo alla quale anche noi maschi siamo evoluzionisticamente proni e capaci all’accudimento e all’attenzione viscerale. Ce lo dice la nostra amigdala, ce lo ripetono tutti quei circuiti limbici che ci legano filogeneticamente agli animali. È tutto lì, ben nascosto, e zac, ecco che ti salta fuori al momento giusto. Suggerisco di leggere a tal proposito anche Divenire genitori e divenire figli, una interessante raccolta di testi in mise di saggio garbato ed elegante a cura di Marcello Florita, Mimesis Edizioni. La psicologia perinatale vista non solo dal lato della mamma, femminile, ancestralmente carnale e attesa, ma pure da quello dei papà: sorprendente, vitale, e pure quello primigenio, antichissimo e profondo, come il coccige alla fine della colonna vertebrale, che sta lì a ricordarci che perfino noi umani, che oggigiorno stiamo in posizione eretta e camminiamo vanitosamente sui piedi, abbiamo avuto una coda. Lontano lontano, laggiù nel tempo, e poi siam divenuti altro.
Il divenire padri però ci dice anche molto dell’essere padri, a tutto tondo; che un figlio lo si sia generato con il nostro spermatozoo preferito; che lo si sia ascoltato girarsi e dar calci irrequieti nella pancia della mamma, anche se lo spermatozoo fosse stato di altri e un altro uomo ce lo avesse donato; e financo se un figlio, due figli e anche più li avessimo adottati, accogliendoli come manna dal cielo, fuoco dal centro della terra, benedizione luminosa mista al tormento dei giorni che passano uno dopo l’altro, con le giuste e ingiuste difficoltà e le cose meravigliose che accadono nel vivere. Ecco che si può essere padri, divenire padri, diventare padri – che è sottilmente diverso – imparare a esser padri, apprendere le mosse e i giusti tempi dell’essere padri, del comportarsi da padri, del parlare con i figli, del pulirgli il culetto, cambiargli il panno, dargli il latte, portarli a scuola, a calcio, al catechismo, all’Arci a ballare discutere gridare combattere, vederli baciare in bianco rosso nero o perfino arcobaleno. Poco importa. L’amore è già lì sotto. Vivo, forte, presente.
La parola papà ce lo racconta, e Cristiano Cavina è un vero sornione nel farlo, tanto gattamorta – sempre detto con grande affetto – quanto schietto e sincero..
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Cristiano Cavina, The word dad, Bompiani, Milano, 2022