Farla finita con Eddy Belleguele

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“VENERDÌ RE-VERSO

“Oggi sarò un duro (e piango scrivendo queste righe).”

 

Girando tra gli scaffali delle librerie in questi giorni troverete l’ultima ristampa dell’esordio letterario di Édouard Louis. Allievo di Didier Eribon, cui l’opera è dedicata, segue le sue orme con l’impulsiva spregiudicatezza che gli regala l’aver qualche anno in meno del suo maestro. Potendolo fare, abbiamo letto questa prima pubblicazione col beneficio della retrospettiva, ben preparati da “Chi ha ucciso mio padre?” e “Metodo per diventare un altro”, nonché da “Ritorno a Reims” dello stesso Eribon; possiamo dunque permetterci di parlare di un percorso più che di una partenza.

Questo tuttavia ci priva dell’impatto che “Farla finita con Eddy Bellegueule” suscitò all’epoca della sua uscita, ormai dieci anni fa: l’intreccio indissolubile (che già Eribon aveva tracciato) tra classe, cultura e consapevolezza individuale esplosero nella scena editoriale grazie all’audacia del ventenne Louis che, racconta, venne pubblicato solo dopo il rifiuto di molti editori i quali rispondevano che “nessuno avrebbe potuto credere a quello che c’era scritto.” Innanzitutto bisogna dire che, in questo primo capitolo della sua autobiografia, Louis non la fa finita proprio con niente. Si tratta di una sorta di dichiarazione d’intenti che rimane incompiuta ma di cui intravediamo tutto l’impervio tracciato a seguire. Se in Eribon è il saggista, lo studioso a prevalere nel distacco con cui analizza il proprio percorso, in Louis sono la rabbia e la visceralità dell’uomo non ancora maturo a dettare le pagine più emozionanti.

Essere un giovanissimo omosessuale in un paesino della Francia del nord. Alcune immagini: la famiglia di “Matilde”; qualche spezzone di “Shameless”. Togliete l’umorismo da questi fotogrammi. Siete piccoli, vostro padre è un alcolizzato vittima della fabbrica in cui ha buttato gli anni migliori, a scuola vi pestano tutti i giorni, programmate imbarazzanti appuntamenti pubblici solo per non sentirvi urlare frocio! nei corridoi. Ma anche: la finestra rotta e mai riparata da cui entrano freddo e umidità; il letto a castello che si sfonda su vostra sorella; il “stasera si mangia latte” di vostra madre.

La forza violenta di questo libro sta nel fatto che vi sentite lo sputo viscoso dei bulli colare sulla faccia. Vi sentite inermi, ancora lontani dall’esplosione, perciò prima di scappare provate a “funzionare” in un paese (contesto socio-culturale) che fa di tutto per farvi sentire difettosi, anormali, fuori posto – in una parola: sbagliati. E non è un singolo individuo a essere importuno o ignorante: è tutto l’insieme delle persone che abitano la vita così come l’avete sempre conosciuta. Vi sentite piccoli.

Non serve essere gay per sentire il peso di una simile ingiustizia; non serve essere poveri per capire il freddo e la fame; non serve essere sfortunati per essere gentili con qualcuno che in quel momento lo è. L’empatia – parola spesso mal compresa o compresa solo in parte – è la capacità umana che più di tutte trae nutrimento dalla letteratura. Édouard Louis non parla solo di miseria e sofferenza (anche se il libro si apre così: “della mia infanzia non serbo alcun ricordo felice.”): parla anche di desiderio e liberazione e determinazione di sé. Ma l’urgenza del suo scrivere sta nel dispiegare davanti ai nostri occhi un quadro accurato, vivido e tridimensionale di tutto ciò che crea quella sofferenza e quella rabbia e lo fa, in questo esordio, senza spiegazioni o didascalie. Senza morbosità. Più avanti: senza giudizio, cercando di scavare negli anni passati le radici di quello che ha vissuto e provato, riuscendo infine a regalarci il suo sguardo e la sua pelle.

Prima che qualcuno si azzardi a pensare che si voglia paragonare l’omosessualità alla povertà o alla sfortuna, a una condizione in qualche modo negativa, si chiarisca il punto: qualsiasi determinazione, anche il benessere o il possedere una certa cultura, può diventare brutalmente svantaggiosa in un contesto ostile. Ciò che definiamo come ingiustizia, ciò che chi scrive reputa come il peggiore dei mali, la privazione della libertà (qui: di essere se stessi), nasce e cresce nello sguardo di chi prende le distanze, di chi ha paura di sentire insieme, di chi non osa affrontare ciò che non capisce o non conosce. Di chi teme l’altro da sé.

Leggere questo libro fa sanguinare sul nostro corpo la ferita di un altro. Leggiamo per questo. Per portare certe ferite fuori dalle pagine come fossero nostre. Un giorno vorrete che qualcuno abbia compassione delle vostre e sarete fortunati se, tra gli altri, avrà letto Édouard Louis.

 

Recensione di Delis 

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Édouard Louis, Farla finita con Eddy Belleguele, Bompiani, Milano, 2014

Edizione originale: En finir avec Eddy Bellegueule, Seuil, Paris, 2014

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