L’idioma di Casilda Moreira

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“VENERDÌ RE-VERSO

“E se il silenzio un giorno non volesse più tacere?”

 

C’è una lingua che sta morendo e ci sono solo due persone rimaste a tenerla viva. Ma queste due persone non si parlano.

È difficile spiegare la suggestione magnetica di questa trama. Contiene il fascino delle cose che stanno per scomparire, l’enigma e la ricerca, il potere della connessione e anche una certa tacita ineluttabilità. Eppure si tratta di un romanzo pacato, morbido come il nome di donna che riposa nel titolo, che accompagna carezzevole il lettore lungo tutto il viaggio dalla facoltà di glottologia di Roma fino al limitare della pampa argentina.

È di come la parola si intreccia alla realtà divenendo realtà essa stessa. È il suo modo di legarsi alla terra, al paesaggio ma anche ai sentimenti, agli amanti, alla Storia. È la parola che cerca di riprodurre la realtà o è essa stessa a plasmarla? Non ne facciamo una questione linguistica quanto più una riflessione affettuosa e riconoscente, come un riconoscimento di valore, del suo potere tanto espressivo quanto generativo.

La parola diventa lingua, un modo di interpretare il mondo; il legame tra la lingua e gli spazi in cui essa nasce è tanto evidente quanto mistico. Può mai una lingua, con i suoi suoni, le sue eco, nascere in un posto e non in un altro? Si riempie di certi orizzonti e diventa allo stesso tempo lo strumento più preciso per descriverli, in un legame reciproco che la traduzione può solo blandamente replicare. E dagli spazi, da quella forma, un certo modo di pensare, di affrontare la concretezza del reale.

Già così il testo sarebbe spunto per una riflessione dalle immense ramificazioni; ma se poi il luogo in cui una lingua evolve diventa il cuore di due che si amano? Il cuore è un paesaggio che forma ed è formato dalle parole con cui cerca di farsi strada in terre sconosciute, come se le parole da un cuore all’altro potessero incontrare delle interferenze – che chiameremo vita – e queste potessero intromettersi, distorcere, fraintendere. La lingua nata da questo particolarissimo paesaggio diventa qualcosa di cui avere cura, che non va sprecato né certamente ceduto a cuori che sono altri spazi, altri confini, altre temperature.

“Il sentimento e la lingua non sono due cose diverse, noi ci siamo voluti bene in quella lingua e adesso tutte le cose affettuose e le parole belle che ci siamo detti sono scomparse.”

Una lingua è una casa, una terra madre da cui ci si può allontanare, a cui tornare, da custodire. Che può essere distrutta da inaspettate detonazioni come da inesorabili logorii. Gli amanti ne costruiscono una che benevolmente, ma con decisione, esclude tutti gli altri parlanti ed è intrinsecamente legata all’esistenza di certi sentimenti insieme ai quali muta, evolve, talvolta muore. Quello che stupisce in questa storia è il diverso grado di consapevolezza dello studioso e dell’anziana coppia, la quale istintivamente riconosce questa peculiarità della lingua e impone le sue regole con categorica ingenuità, scavalcando candida certe forme di didattica e di ragionevolezza. L’approccio linguistico si sfalda e apprende dalla natura organica e sentimentale delle parole, dal loro legame con la vita. Noi lettori, come il professore allettato, riapriamo gli occhi a quel suono lontano che sa di preghiera e incantesimo, rientriamo nella casa delle nostre parole e così facendo, senza che nessuno ci obblighi a farlo,(re)impariamo ad abitarla con la cura mai scontata che merita.

 

Recensione di Delis 

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Adrian N. Bravi, L’idioma di Casilda Moreira, Exorma, Roma, 2019

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