I libri scelti da Andrea Salonia
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È probabile che uno qualunque tra noi uomini, noi maschi, soprattutto prossimi ai cinquant’anni, e con ancor maggiore verosimiglianza dopo i sessanta, abbia sentito parlare della prostata. Della propria o dell’altrui: sì, dottore, “ho la prostata”, come il mio amico Mario. Queste le fatidiche parole. Prostata, che non è organo che si veda, quindi bisogna essere capaci di immaginarselo. Non è un dito, un braccio, un occhio, non la cute della pancia, non i peli delle gambe, e neppure la bocca.
Lei, la prostata, è entità, presenza e assenza insieme, poiché non si può toccare con mano, e ben non si capisce neppure cosa faccia, a cosa serva, addirittura se serva. Perché, è vero, anche altre parti di noi sono nascoste, ma del loro agire ben sappiamo: il cuore, il cervello, la vescica, l’intestino, lo stomaco, e così via. Ma della prostata poco o punto conosciamo. Almeno finché non dovesse cominciare a darsi arie, o a far le bizze, ed ecco che allora prendiamo coscienza di una castagna, un marrone, un mandarino, una mela, finanche di un melone – queste le più classiche tra le similitudini utilizzate – frutto che spesse volte diventa tutt’altro che dolce e gradito, ma causa di disagio.
Disagio perché devo alzarmi a urinare una, o fin più volte per notte, ciascuna delle notti, interrompendo il sonno, che viene a impoverirsi irrimediabilmente. Disagio perché devo lasciar tutto ciò che stessi facendo, cessare dal leggere, dal guardare un bel film di Hitchcock che ridanno alla TV dopo anni, far alzare i miei vicini di fila a teatro, interrompere una lezione agli studenti, eccetera eccetera. Lei, la prostata, comanda, imperiosa, irremovibile, impone compiti improcrastinabili: o vai, e pure con slancio e di corsa, oppure rischi proprio di pisciarti addosso. E ti puoi fin trovare a dover tirare due saracche perché di fronte al vespasiano nulla, neppure una goccia, anzi una beffa: uno stimolo impellente, doloroso talvolta, e non una goccia santa che voglia uscirsene. Allora ti rilassi, devi rilassarti, attendere, visualizzare che si apra tutto il sistema di chiuse del canale Saint-Martin nella tua amata Parigi, e poi allora, solo allora, un debosciato flusso di urina farà capolino dalla punta, cadendo laggiù, nel bianco lucido. Spesso sull’asse, con tua moglie che ti urla, ti sgrida, perfino: hai sporcato ancora una volta! Questa, non rare volte, l’umiliazione di aver la prostata, e quindi di essere maschio, con un’età che non si è arrestata all’adolescenza ma, com’è nelle cose della biologia, imperterrita, ha proseguito il suo corso.
E c’è poi anche una seconda prostata, quella che si ammala della malattia del secolo: il cancro. Il cancro della prostata che è il primo cancro per incidenza nella popolazione maschile. Milioni di cancri alla prostata ogni anno in tutto il mondo. Un cancro vilipeso, persino; in primis, perché “non è di quelli cattivi” ti senti anche dire, e spesse volte lo diciamo perfino noi medici; poi anche perché – come abbiamo detto in molte dele righe sopra scritte – la prostata non è parte di noi avvertita come organo “nobile”. Non è il cuore, che pompa sangue in giro per il corpo, e contiene tutte le emozioni e l’amore del mondo. Non è il cervello, che elucubra il bello il buono il brutto e il cattivo.
Insomma, questa prostata cosa farà mai? Quindi se anche si ammalasse poco potrebbe importare. Il cancro, quella malattia che si fa fatica addirittura a nominare, di cui ci vergogniamo quasi a dire la parola: cancro; quel mostro che si definisce con giri di parole – ha un brutto male, poverino – per non gridarle in faccia il suo nome: cancro, tumore, carcinoma…Pensate se poi è un tumore di un organo nascosto di cui poco o punto si sappia, e che non si tocchi, e che non si veda, e che si faccia molta, molta fatica a visualizzare: il cancro della prostata. Noi, i maschi, ci scopriamo allora ancor più vulnerabili, e il paradosso arriva nel momento in cui quella maledetta ghiandola – perché di questo si tratta: la ghiandola chiamata prostata – ci deve essere tolta, ablata, rimossa, bruciata, sterminata. Il paradosso perché lei, la prostata, è intimamente legata alla nostra vis andrologica, alla capacità di far sesso, di arrivare al piacere, di sentirci maschi. Di questo, delle sensazioni del vivere senza, della percezione di menomazione, dell’intima menomazione nel corpo che si traduce in una percezione di impotenza, coeundi e generandi – certo – ma anche, e forse soprattutto – in una ferita esistenziale, una drammatica sensazione di impossibilità al piacere, all’appagamento, al bello del sesso (che a ben guardare è ciò che, filogeneticamente, più ci lega all’essere animale che siamo, l’architrave dell’esistenza, senza fronzoli cognitivi, senza orpelli culturali e razionali).
Ecco, della sensazione di svuotamento e di perdita, di impoverimento della persona legata alla perdita di una parte così ancestrale e “scontata” come la sessualità, e di tutte le sgradevoli percezioni limitrofe, di questo e di altro narra L’ablazione di Tahar Ben Jelloun, uscito nella efficace traduzione di Anna Maria Lorusso per l’editore Bompiani nell’ormai lontano 2014. Perché leggerlo oggi?
Da medico, perché è una straordinaria narrazione di quanto un paziente, un uomo, possa provare a valle del conoscersi ammalato di un cancro, di un cancro alla prostata per di più, e della drammaticità – che non è drammaturgia – del ciò che accada dopo la diagnosi, la scoperta, il vulnus aperto dalla mancanza dell’organo, che forse nulla importerebbe se non si legasse a una profonda ferita del sé, del proprio essere uomo, maschio, della propria virilità, del proprio appagamento, della capacità di far l’amore, qualsivoglia amore, bianco, rosso, arcobaleno, che nulla è a confronto della vita, vero!, fatto salvo che ne è parte integrante e fondamentale. Da medico, appunto, L’ablazione è un potente strumento conoscitivo e di divulgazione.
Da uomo, da maschio, L’ablazione, è un affresco verace e vivido di ciò che non possiamo mai dimenticare: la commistione, l’interazione, la necessaria collaborazione tra noi che siamo biologia, e poi anima, e quindi mente, e tutte cose insieme. Da andrologo L’ablazione di Tahar Ben Jelloun mi ha insegnato molto, con le giuste parole.
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Tahar Ben Jelloun, L’ablazione, Bompiani, Milano, 2014
Edizione originale: L’Ablation, Gallimard, Paris, 2014