Il pretore di Cuvio

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“La signora lo aspettava sulla porta e lo tirava dentro come un sorso d’acqua.”

La storia di Augusto Vanghetta, prima e dopo di assurgere alla carica pubblica di pretore, è quella di un miserabile, che per una serie fortuita di eventi, e molto pochi meriti personali, riesce ad avere successo sociale. Annientato da un continuo desiderio carnale di possedere più donne possibili, riesce persino ad organizzarsi un matrimonio di interessi, con una ragazza di molto più giovane di lui, e in possesso di una discreta dote. 

La bassezza morale e l’avidità tipica di chi non ha sudato i successi ottenuti, e non è in grado di apprezzare il valore delle cose, saranno la maledizione del pretore Vanghetta, che si ritroverà a  vivere gli ultimi anni della sua vita da solo, in povertà e ombra dell’uomo di legge che era. 

Vanghetta, e tutti i personaggi secondari del racconti, anche quelli solo accennati, rappresentano lo specchio di molte virtù, e moltissimi vizi, dell’essere umano. In questo senso odiare un determinato personaggio vuol dire riconoscersi e odiare una parte di sé stessi. 

Ambientato negli anni trenta del novecento, il fascismo è lasciato fuori dal racconto. Gli unici racconti che vengono fatti sulla questione politica, sono più che altro quelli tipici della mala gestione della cosa pubblica, con una macchina burocratica incancrenita capace di muoversi solamente attraverso favori richiesti (e poi ripagati in qualche modo) ad amici di amici. Senza troppi giri di parole, l’Italia di ieri e di oggi e di domani.

La penna è sottile nel tratteggiare gli animi e le situazioni più critiche; anche quando si tratta di scivolare dentro le stanze da letto dei personaggi, riesce a non scendere mai nella volgarità, ma a rimanere sospesa tra dire e far immaginare e ironia e arguzia. 

Consigliato ai ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori, per ampliare il proprio lessico, per imparare cosa vuol dire scrivere in italiano, e avere idee da convogliare poi in una storia. Un sapore antico delle parole che ritroviamo sempre in un determinato tipo di autore del dopoguerra, e che purtroppo al giorno d’oggi è andata persa. 

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Piero Chiara, Il pretore di Cuvio, Mondadori, Milano, 1973

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