Scritto da Sara Patané
Sento la musica provenire da fuori la casa.
Riesce a fermare il tempo, fare in modo che, anche nel momento più frenetico della giornata, una persona non riesca a fare altro che piantare i piedi fuori dal condominio, un semplice palazzo grigio in periferia di Milano, e chiudere gli occhi.
Se fosse chiunque altro a suonare, la musica potrebbe dare fastidio, è molto alta, ma Daniele ha sempre avuto questo dono: il dono di catturare e non lasciar andare nessuno; nel momento stesso in cui lui si avvicina ad un pianoforte, la magia inizia a formarsi, si percepisce quel calore e quella felicità mista a nostalgia che solo una buona canzone derivante dal sangue di un buon artista può infondere.
Daniele è quell’artista, e la sua musica scorre nell’isolato e intrappola chiunque sia così fortunato da essersi trovato lì, proprio lì, proprio ora. Io sono fortunata, e ne sono consapevole. Ma forse la mia non è solo fortuna. Quando sono partita, lui me lo ha detto. Mi ha detto che esattamente a distanza di un anno lo avrei trovato lì, a suonare tutto il giorno tutte le melodie che è riuscito a comporre, una per ogni settimana di lontananza. Mi ha detto che, quando fossi arrivata, senza avvisare ovviamente, come mio solito, lui sarebbe stato lì.
Avrei sentito la sua musica e avrei ricordato tutto, nonostante ogni nota sia disposta in modo diverso. Perché ogni nota che lui compone è sempre…sua. Non è solo il tasto di uno strumento, un segno su uno spartito, una certa percezione dei nostri timpani. Ogni sua nota deriva direttamente da lui, ed è ciò che oggi lo porta a suonare nei più grandi teatri di Milano e d’Italia, ad accompagnare le esibizioni più emozionanti e uniche, che diventano ancora più importanti con la carezza della sua musica che veleggia sopra il pubblico in platea.
Io riesco a vederla, anche ora, in una giornata assolata e afosa, con il rumore delle macchine e del treno poco distante. Il mio cuore va a ritmo delle sue note, ed io mi immagino la sua figura in controluce, alla finestra, con il buio della stanza che rende le sfumature che si creano sul pianoforte e sulle sue spalle ancora più evidenti. Ricordo ancora la foto che ho scattato qualche tempo fa, una delle prime in effetti, e probabilmente quella per cui ho ottenuto la borsa di studio per un’accademia a Bologna, motivo della mia partenza.
Daniele è riuscito a creare il proprio teatro in una camera poco illuminata, ristretta e in disordine. Ma, nella confusione degli spartiti sparsi sul pavimento e dei vestiti stropicciati sul letto ad angolo, c’èuna forma armonica che, nella foto che ho scattato, rende il momento ancora più intimo e fuori dal mondo. Come se avessi colto l’incontro tra quotidiano e divino, che nel suo caso riescono ad essere legati in un unico concetto: l’arte di Daniele, che cattura la realtà e la dispone in modo che diventi qualcosa di più.
Prendo dei respiri lenti, consapevole che l’intreccio di note, simile a una frase ma forse più diretto, è rivolto a me, e solo a me.
La mia mente ritorna a quella giornata passata insieme, esattamente un anno fa. Avevo solo un desiderio: che suonasse per tutto il tempo, che componesse per me, e così ha fatto. Io sono rimasta con il gomito appoggiato al ripiano di legno, la testa sulla mano, le gambe sulle sue, gli occhi su di lui e la mente che vagava per i nostri sogni, che fin da piccoli ci avevano legato.
Facendo i conti, avevamo capito che non saremmo riusciti a vederci per le vacanze di Natale, momento in cui lui andava a trovare dei parenti al sud, e neanche a Pasqua, per questioni di lavoro. E così, trecentosessantacinque giorni dopo, mi ritrovo come se non fossi mai partita, come se ci fossero due realtà nella mia vita: quella in cui io vado nella scuola dei miei sogni, e quella in cui sto con Daniele e la sua musica, anche loro parte dei miei sogni.
Salgo velocemente le scale e busso alla porta. La musica non si interrompe ma, se conosco questo ragazzo come lo conoscevo prima, so che non interromperebbe mai l’esecuzione di un brano. Per questo abbasso la maniglia ed entro.
Come avevo immaginato, lui non si volta: il riflesso alla finestra incrocia il mio sguardo, mentre la musica mi accoglie e mi abbraccia, e per me è come se lo avesse fatto lui. Daniele mi fa l’occhiolino, ed io mi richiudo la porta alle spalle.
Prendo la mia telecamera e scatto una foto.
“I vizi non sono cambiati, vedo”; commenta Daniele, sorridendo. Io mi avvicino e gli poso le mani sulle spalle, lui lascia andare la testa all’indietro, senza smettere di suonare, nonostante i suoi occhi siano puntati su di me.
“Ho notato”; rispondo al suo sorriso e lascio che la musica rimanga tra di noi, trasportandoci nel passato e allo stesso tempo gettando sempre più speranza per il futuro.
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One comment
Arvedo
14 Febbraio 2022 at 18:33
Fantastic….