Il nostro meglio

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I libri scelti da Andrea Salonia

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Ho chiara memoria di nonna, i suoi capelli cotonati e la “grembiala”, come la chiamava lei, la luce che entra da dietro e la torta all’Alchermes regina sul tavolo, fucsia nel centro, e viva di giallo della crema pasticcera e del pan di Spagna sopra e sotto. Una torta a righe, così la ricordo, la mia preferita preparata da nonna, insieme a una infinita dolcezza e un grande amore, cremisi come l’al-qirmiz, perché è la cocciniglia che dona colore, perché questo è una nonna. Nulla più.

Ed è preciso preciso questo che ritroverete nelle pagine de Il nostro meglio, di Alessio Forgione, scuola napoletana, scrittore giovane e intrigante, capace di rappresentare il vero con mordaci pennellate di tenerezza e realtà. Una scrittura per frammenti di immagini la sua, microscopiche particelle di quotidianità che divengono puntuti stiletti e delicate piume insieme. Un mescolarsi di pensieri che trascolorano in forme e suoni e azioni senza mai scolorire, in un continuum di parole appena appoggiate, con uno scrivere facile e complesso, elaborato e leggero, luminoso e mai cupo (senza che alla cupezza si debba togliere valore e importanza, chè a volte ha piena dignità d’essere ed è più che necessaria).

Mi era già capitato di avere la stessa esatta sensazione con i due romanzi precedenti, Napoli mon amour e Giovanissimi, che ben mettono a fuoco l’essenza di un giovane uomo, di volta in volta in un contesto diverso e di differente problematicità, ma sempre con lo spettacolo di Napoli all’intorno, senza che vi siano mai e in alcun modo cenni a quelle che rischierebbero di farsi soffocanti peculiarità “regionalistiche” che la strepitosa città partenopea facilmente porterebbe a inserire nel racconto e nella scrittura stessa. Nulla di ciò. Le vicende raccontate da Forgione sono frammenti di esistenze a cui Napoli regala naturale veridicità, vivacizzandole, evitando di chiuderle in una claustrofobica forma di cliché.

Questo è il tratto di originalità narrativa che più ritrovo a far da filo conduttore in tutte le pagine di Forgione, ed è proprio una bella scoperta, che aiuta a riflettere e fa star un gran bene e un gran male al tempo. E almeno per me, questo è ciò che cerco nei romanzi, il contrasto delle emozioni nei paragrafi che si fan pagine, quello star sospesi che ti rimane addosso quando l’ultima parola della storia ti è rimasta negli occhi, e poi scompare pure quella, ma di lei ti rimangono il senso, il suono e perfino il profumo.

Io del personaggio de Il nostro meglio non voglio proprio svelare alcunché, se non che ha un gatto, Cartesio, grasso, dal pelo grigio scuro e bianco. Posso solo raccontare che è difficile e semplice al tempo; che si cimenta con la vita come forse io non avrei fatto, ma magari qualcun altro sì; che si rapporta col bisogno di affetto e con lo star male, ma mai alla piagnona maniera; che ha questa sua nonna che è iconica della naturalezza con cui una nonna può esistere nell’esistenza di ciascuno di noi; e, che affronta la malattia per definizione, degli altri quella biologica, sua fino al midollo quella dell’anima e della mente.

Ecco, queste sono alcune delle mie riflessioni sul bel romanzo Il nostro meglio, che mai risulta essere una appiccicosa lettera di addio e neppure uno stucchevole ricordo della nonna del protagonista, sarebbe troppo facile, scontato, denigratorio. No: questo è il vivere il morire il ricordare il fuggire il piangere il ridere l’ubriacarsi di gioia il trasecolare per il dolore. Il dolore il dolore il dolore. Talvolta si ha un gran bisogno di mettere il dolore per iscritto, quasi per tentare di allontanarcene, o almeno per provarci.

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Alessio Forgione, Il nostro meglio, La nave di Teseo, Milano, 2021

 

 

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