I libri scelti da Andrea Salonia
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Partiamo dalla tecnica di scrittura: straordinaria; originale; unica; evocativa; provocatoria; confusamente fascinosa; chiara; intrigante; destruente; accattivante; irritante; piaciona; repellente; moderna; dialogata; intrecciata; respingente; antica; noiosa; vivace; urticante.
Potremmo elencare molto altro dello scrivere di Manuel Puig, scrittore argentino che ci ha lasciati orfani delle sue parole ormai nel lontano 1990, ma il dettagliare le tecnicalità non mi appartiene. Sono le emozioni che la scrittura evoca, quelle sì mi coinvolgono fino alla commozione; quelle forti che son capaci di spaccarti in due; quelle lievi che ti coccolano; quelle dubbie e interlocutorie, che talvolta le idee dentro la narrazione ti fanno esplodere nella testa. Ecco, tutte loro arrivano fin a soverchiare lo stile del romanzo, che già di suo meriterebbe pagine e pagine di riflessioni.
Manuel Puig racconta la vicenda di due uomini, incarcerati, rinchiusi nella stessa cella, in un mondo che non avremmo voluto fosse mai esistito e che oggi non vorremmo proprio mai conoscere: il mondo di quell’Argentina buia, della paura, delle botte, degli sparati, e delle torture per motivi politici; il mondo dove la gente spariva d’improvviso e talvolta non si sapeva neppure più dove fosse finita e se mai sarebbe tornata a casa; il mondo delle parole che non si potevano parlare e delle idee che eran pericolose perfino se soltanto pensate. Ma non è tanto da quel grigiume brutto che il lettore verrà interrogato, da quello squallore, perché si lascerà innamorare dal crescere del rapporto interpersonale, dal superamento delle ipocrisie, dalla conoscenza dell’io che ambedue i personaggi man mano acquisiscono, fino all’acme che non ti aspetteresti.
E poi sono certo il lettore potrà innamorarsi della modalità dialogica con cui l’intera storia è raccontata, che stupisce per la tanta originalità; si lascerà rapire dai rimandi poetici e cinematografici – veri o fittizi essi siano; curioserà tra le notazioni in calce, molte delle quali appaiono perfino naif, per tanto son state superate dai tempi e dalle conoscenze. Magari il lettore potrebbe perfino innamorarsi della trama e del sotteso sociologico, civile, o anche semplicemente “umano”, da cui la storia intera è attraversata e profondamente pervasa, e che pagina dopo pagina emerge con vivacità, ma senza prepotenza alcuna.
Questo è ciò che mi sento di scrivere de Il bacio della donna ragno, che il signor David Foster Wallace “apostrofò” come un romanzo fondamentale. Non so, ma forse concordo.
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Manuel Puig, Il bacio della donna ragno, Edizioni SUR, Roma, 2017
Edizione originale: El beso de la mujer araña, Seix Barral, Buenos Aires, 1976