L’ultima estate in città

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Scritto da Alessia Agostinelli

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Ci sono romanzi che rapiscono da subito, prima ancora di essere iniziati. A volte è  sufficiente una parola, un’immagine che preannuncia il mondo che andremo a scoprire in quelle pagine ancora ignote, a volte occorre solo un titolo. C’è qualcosa in loro che richiama il lettore e sembra volerlo condurre a casa. Per me è successo così con l’opera prima di Gianfranco Calligarich, L’ultima estate in città.

Pubblicato nel 1973 da Garzanti, il romanzo vinse il premio L’inedito, sospinto dai giudizi entusiasti di Natalia Ginzburg e Cesare Garboli, per poi sparire dalla circolazione dopo appena 17,000 copie vendute. Ma si sa, a volte il tempo porta giustizia all’arte per redimersi, e così nel corso degli anni, L’ultima estate in città ha iniziato a divenire oggetto di culto tra i librai, fino alla sua riscoperta editoriale e la sua riedizione di Bompiani del 2016.

Il romanzo segue un pigro e indolente giovane trasferitosi a Roma negli anni Sessanta per fare il giornalista. Ma Leo Gazarra è uno di quegli uomini che fatica a vivere, ad avere uno scopo, ad essere come gli altri. Si muove senza sapere dove andare, cosa fare, chi essere, sbrigandosi tra mestieri mediocri e discontinui, fra rapporti umani effimeri e superficiali. Il romanzo illumina con disperata chiarezza il rapporto fra una città e un individuo, tra la folla e la solitudine. Non a caso, a fare da sfondo alle vicende spesso assurdee gorttesche di Leo è una Roma calda, vasta e indifferente, come solo Roma sa essere, la protagonista urbana perfetta per tutti i Gazarra che hanno alimentato la letteratura e il cinema di un certo malessero moderno.

Impossibile non innamorarsi del linguaggio di Galligarich, delle sue allusioni evocative, del suo tocco unico nel raccontare la storia di una solitudine. Tante le scene memorabili che il romanzo ci dona, compresa la storia d’amore di Leo con la capricciosa ed insoddisfatta Arianna. 

Qui rivivrete le suggestioni di Mastroianni nella Dolce Vita, di Jep Gambardella ne La Grande bellezza, e tutta quella corrente di romanzi, da Moravia a Hemingway e Bukowski, che trasudano quella familiare malinconia. Insomma, in L’ultima estate in città riecheggia una grandezza che solo l’arte sa raggiungere quando racconta una parabola discendente. Se ancora non lo conosceste, fatevi un favore e recuperatelo al piu presto.

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Gianfranco Calligarich, L’ultima estate in città, Bompiani, Milano, 2016 (prima edizione 1973)

 

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