Scritto da Alessia Agostinelli
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Tra i tanti libri scoperti quest’anno, ce ne è stato uno che ha riecheggiato nel suo titolo, del triste leitmotiv di questo inusuale anno. Si tratta del debutto letterario del giovane e promettente Jonathan Bazzi.
Spiazzando le classifiche editoriali italiane, questo romanzo autobiografico ha portato all’attenzione di molti il suo autore prima quasi sconosciuto. Laureato in filosofia e appassionato di questioni di genere, Bazzi collabora da anni con varie testate e magazine. Ma è nella forma del romanzo che Jonathan Bazzi è riuscito appieno a mettersi a nudo ai suoi lettori e forse anche a se stesso. Febbre è un ritratto intimo e senza fronzoli che scevera un problema spesso percepito come taboo, l’HIV, la cui scoperta diagnosi e accettazione è portata alla luce con il coraggio che solo chi soffre ma combatte, conosce e sa trasmettere. E così la letteratura si è resa ancora una volta capace di liberare; liberare dalla vergogna della malattia e da quella della propria diversità, raccontando una storia per dare al dolore un significato.
Soprattutto poi, Febbre ha portato in primo piano un problema ben più comune della sieropositività, la solitudine. Il romanzo inizia da una diagnosi del presente e forse anche del futuro, ma decide poi di tornare indietro nel tempo e nello spazio, lasciando la Milano dello yoga, degli aperitivi e del traffico, per mostrare da dove venga e chi sia l’uomo di cui conosciamo solo una definizione, sieropositivo.
Figlio di un progetto fallito, come si descrive lui stesso, Bazzi torna allora tra i palazzi grigi e la torre della Vodafone, rientra alla natia terra di Rozzano, periferia del mondo e dei sogni, per mostrarla e mostrarsi ai suoi lettori. Lo scrittore ripercorre la sua infanzia senza risparmiare niente e nessuno, specie se stesso, in un racconto che non condanna nè assolve, ma che fa intendere quanto comune sia la solitudine di certi bambini nati incompresi e la fatica di stare al mondo con gli altri e la loro crudeltà.
Malgrado un linguaggio così semplice che faccia spesso dimenticare di essere davanti ad un romanzo, in Febbre si percepisce una profondità del pensiero e delle parole non indifferente. La scelta stilistica dell’autore dunque ci mostra come il voluto appiattimento e abbattimento di certe barriere linguistiche, sia atto a rendere accessibile a tutti il messaggio del romanzo.
Febbre non è dunque un libro coraggio sull’HIV, o almeno non è solo quello. Febbre è un’eco per tutti i bambini soli, inadeguati e diversi che affollano il mondo e le sue periferie e che hanno paura di non farcela. A loro Bazzi sembra aver voluto lanciare il suo grido di aiuto e di speranza, e non possiamo che augurarci che continui ad arrivare.
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Jonathan Bazzi, Febbre, Fandango, Roma, 2019