“Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti.”
Abbiamo perso il conteggio delle volte che abbiamo letto questo libro nel corso della nostra vita, eppure non ci sembra mai sufficiente. Il primo sentimento che abbiamo provato durante e dopo la lettura è quello di incomprensione-rabbia. Ragionandoci a mente fredda, ci è difficile concepire come l’inumanità sia arrivata a toccare vette tanto basse, nel totale silenzio -silenzio assenso?- di vaste maggioranze della popolazione europea: Parigi come Amsterdam, Berlino come Cracovia.
Il libro è la testimonianza diretta dell’autore che, durante il secondo conflitto mondiale, ha vissuto nel campo di concentramento di Auschwitz (Oświęcim), dove fu internato dopo essere stato arrestato in Italia, in quanto ebreo.
Nessuna iperbole, nessuna drammatizzazione degli eventi: solo la cronaca diretta di quello che è stato, a perenne memoria delle nefandezze a cui può arrivare l’essere umano contro i suoi simili. È proprio l’incredulità ad accettare che alcuni fatti si siano svolti nel modo raccontato a fare più male. Purtroppo, guardando gli eventi avvenuti in varie parti del mondo negli ultimi sessant’anni, sembra che gli sforzi di Primo Levi siano stati vani.
Noi, che stiamo scrivendo questa recensione, in passato abbiamo deciso di visitare il campo di concentramento narrato nel libro: non è un posto facile da descrivere. Si tratta di un luogo che ti obbliga alla riflessione, alla meditazione, perché a distanza di anni si ha ancora la sensazione di camminare in mezzo al dolore delle vittime. Ricordiamo il vento duro narrato dall’autore che entra dentro le ossa, solo che noi eravamo vestiti in modo adeguato e non con pochi stracci; ricordiamo le recinzioni che dividevano il lager dal resto del mondo, la vita dalla morte.
A nostro parere, questo libro rientra nella categoria delle letture obbligatorie, perché siamo noi che abbiamo la responsabilità di evitare che la storia si ripeti; siamo noi che non dobbiamo mai abbassare la guardia quando il puzzo di discriminazione inizia ad invadere il mondo, e ci sentiamo in diritto, spinti talvolta dalle istituzioni, di privare un altro essere umano della sua libertà e umanità.
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Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1996 (prima edizioni 1947)