Scritto da Armando Gioia
Campi
Spesse volte andando per i campi
distesi ho udito vocii
indistinti; rombi di terra
dileguarsi in addii; lamentii
succinti svanire sotterra.
Spesse volte andando per i campi
incolti ho visto il niente
dinnanzi agli occhi; per fame
ho visto vagare un tarlo dolente
e un nero sciame
d’insetti cercare rifugio.
Spesse volte andando per i campi
inesistenti della mente
ho cercato come un segugio
tracce, facce, gente
nel dolore latente della mancanza.
Spesse volte andando per i campi
ho compreso che tutto s’arrende
all’oblio: l’esile arboscello,
il carrettiere e la mula,
l’agave e il brandello
di muro, la verzura
levigata dal sole veemente.
Spesse volte tornando per i campi
giovanili di Sicilia ho avvertito
un moto lacerante e infinito
di latrati, di bestie, di clamori
roventi; spesse volte per quei campi
ho percepito un logorio di languori
struggenti: è il rantolio
dell’eterna mattanza.
Sparse
Ciò che rimane del tempo perduto
è una zuffa di pensieri, una tregenda
di ricordanze sfumate ch’esplodono
di tanto in tanto come termite.
Ciò che rimane del tempo fuggito
come un biacco in un pertugio,
è dolore, muffa rafferma sul muro,
di giorno in giorno prosperante.
Ciò che rimane del tempo vanito
nel vuoto, per la soglia incerta
d’un uscio, è lo strido d’una carrucola
calata nel buio d’un pozzo
profondo; ciò che rimane del tempo
è terrore gelido soltanto
che a fondo perfora le ossa
in un’ispida impasse insanabile.
Flusso
Com’è bella la falena notturna:
il cielo è sua dimora nelle sere afose
di Maggio in cui cola sopore.
Per un attimo dimentico le parole
acri e gravose, ricordo quando
il mio migliore amico era un vecchio
topo, un capello bianco imperscrutabile,
un ciglio fuori posto. Porto
addosso, dentro, l’odore genuino dei poveri;
mi preda una mezzaluna d’occhi nel buio.
C’è un tempo per tutto. L’albero nudo
adesso è fiorito in lontananza.
Quando il mondo si spegne, di notte
mi accendo di malinconia; trasfiguro
i giorni e i momenti. Basta
un raffreddore, un’eclissi, e tutto
si fa alieno, esitante, tremulo: l’uomo
è distante, non fa più il tempo delle cose.
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