Scritto da Elisa Lorenzini.
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Scarno, ruvido, primordiale. È l’amore degli adolescenti, quel primo affacciarsi alla conoscenza e al dolore che assume proporzioni enormi per chi lo vive. Ma è anche il paesaggio dell’isola di Uta-jima, remoto satellite del Giappone industriale, che vive di poche e semplici tradizioni, lontano dalle luci di Tokio e dalle illusioni della modernità. In questa “isola del canto”, dove uomini e donne abitano case di paglia e il ritmo delle giornate è scandito dall’andirivieni dei pescherecci, il giovane Shinij si innamora della coetanea Hatsue.
Tutto qua, si potrebbe dire. La trama di questo esile romanzo del maestro Yukio Mishima si sviluppa attorno al nascere e crescere del primo amore, come una sorta di “Love Story” all’orientale, senza troppe deroghe alla fantasia e senza la pretesa, da parte dei personaggi, di rendersi memorabili.
Shinij e Hatsue, pedine in un gioco della natura e dei sentimenti ben più grande di loro, non raccontano una storia particolarmente originale, non riservano colpi di scena.
Eppure, “La voce delle onde” è un piccolo capolavoro. In poche pagine, c’è tutto: il bene, il male, il fascino e la paura del peccato, la simbiosi tra uomo e natura, il clamore delle prime scoperte, la saggezza degli anziani che mitiga la foga dei giovani.
L’abilità di Mishima non si smentisce. L’autore del “Padiglione d’oro” e di “Musica”, portavoce di un Giappone quasi astratto, metafisico, con una delicatezza ispirata agli haiku (brevi sonetti della tradizione nipponica) ci spiega l’amore semplice, istintivo, quello che non si discute. E che madre natura, semplicemente, asseconda.
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Yukio Mishima, La voce delle onde, Feltrinelli, Milano, 1961
Edizione originale: Shiosai, Shinchosha Company, Tokyo, 1954