Scritto da Francesca Sivori
A sedici anni mia figlia Marella, la primogenita, una sera, mi dichiara tutta seria: “Ho capito cosa voglio fare da grande!”.
“Bene”, affermo contenta. “E sarebbe?”.
Era in procinto di terminare il terzo anno di Linguistico: una scelta difficile, quella del liceo… a ripensarci. Durante l’ultimo anno di scuola media, infatti, non trascorreva giorno che mi chiedesse: “Mamma, che scuola potrei fare?”.
E io, immancabilmente, replicavo: “Non posso decidere io per te: lo sai tu cosa ti piace studiare. Qual è la materia che preferisci?
“Tutte”, era la sua laconica risposta. “Forse la fisica è quella che meno mi attira”.
“Bene, già ne abbiamo esclusa una. E poi?”, attendevo speranzosa.
“Mah, forse anche la matematica…però mi riesce bene…”.
“Senti”, tagliai corto, all’ennesimo confronto. “Consigliati con le tue insegnanti. Loro ti conoscono meglio di me sotto il profilo didattico”.
Il giorno dopo rientrò da scuola a testa bassa.
“Oddio”, pensai, “chissà cosa le hanno detto!”.
“Allora?”, chiesi, lasciando trapelare un poco di ansia.
“La prof di italiano mi ha detto che posso iscrivermi tranquillamente al Classico”.
“Bene, è fatta!”, esultai.
“Magari…Quella di matematica mi ha detto che posso fare il liceo scientifico senza problemi…”. Si stava mettendo male. Sentivo che stava per arrivare la mazzata finale: “E la prof di inglese?”, azzardai mentre chiudevo gli occhi. Non osavo sentire la risposta:
“Stessa cosa: mi ha detto che mi vedrebbe molto bene al Linguistico…”.
“Beh…”, dissi, “ti manca solo ginnastica e artistica… Provai a scherzare: sapevamo entrambe che lei era negata nello sport ed era poco dotata di creatività artistica. Queste due cose almeno ci erano chiare: inutile consultare le insegnanti…
Alla fine, decise per il Linguistico, forse perché in questo modo d’estate, quando andava a trascorrere un mese all’estero, le sarebbe stato tutto più facile…
Ora, forse, dopo tre anni di lingue ha capito finalmente cosa le piace studiare e perché. E quale potrà essere l’indirizzo al quale dedicarsi una volta terminato il liceo: e siamo solo in terza. Non ci potevo credere!
In trepida attesa, seduta sulla punta della sedia per la tensione, attendo di sentire pronunciare parole del tipo: interprete, traduttrice simultanea, viaggiatrice… caso mai. Non di certo quello che esce dalla bocca di mia figlia Marella, quel giorno, una difronte all’altra al tavolo di cucina. Quelle due paroline che mi trovano del tutto impreparata e mi spiazzano totalmente. Fortuna non sono in piedi!
“La ballerina classica?”, mi esce irruentemente fuori dalla bocca e per di più con un marcato tono incredulo. La mia reazione è tale che Marella si sente in dovere di offendersi: “Perché? Cosa credi? Sono in grado di farlo. E poi, è il sogno della mia vita!”, afferma convinta.
“Certo tesoro”, cerco di riprendermi dallo choc e di riguadagnare il terreno esaltando le sue capacità, qualunque esse fossero. “Lo so bene che tu sei in grado di fare qualsiasi cosa e anche bene!”, cerco in fretta le parole giuste per proseguire: “Mi permetto solo di dirti che forse, dico forse, sei già un po’ avanti con l’età per fare la ballerina…”.
Ahi… sono andata a toccare proprio il tasto dolente, quello giusto, quello che mia figlia attendeva: decisamente il coltello era stato infilato nella ‘vera’ piaga.
“Ecco, vedi”, alza la voce in tono accusatorio, “lo sapevo! Tutta colpa tua: dovevi farmi cominciare danza da piccola!”.
Adesso mi è tutto chiaro: il suo non era stato altro che un tortuoso marchingegno adolescenziale per affibbiarmi la colpa di qualcosa.
“Veramente”, ammetto con le orecchie basse, “da piccola ti avevo iscritto un anno a una scuola di danza. Ma non mi sembrava che ti piacesse particolarmente …”. Cerco di difendermi.
“Cosa vuoi che potessi capire a quell’età: cosa avevo tre, quattro anni?”, rilancia lei.
“Quattro”, mi esce appena, con un filo di voce.
“Appunto: quattro anni! Cosa vuoi che se ne intenda una bambina di quattro anni”, rimarca tutta sicura senza pensare che la bambina in questione era proprio lei e che in quel momento si auto dichiarava tonta. “Eri tu che dovevi insistere!”, e conclude con un lungo sospiro: “Io oggi sarei la ragazza più felice del mondo…”.
Prendi questa, Francesca e porta a casa! Se oggi tua figlia non si sente realizzata e ha la certezza che la sua vita sarà un’infelicità globale, bene questo lo si deve e dovrà solo, esclusivamente e totalmente a te.
Morale della storia: Marella frequentò un anno di scuola di danza: si impegnò molto e al saggio finale mostrò nei suoi due minuti di performance una ‘classe’ veramente unica. Con il suo metro e settanta di altezza e nei suoi ben piantati 56 chili, non si librò in aria come una farfalla ma mosse i suoi pas de deux con l’eleganza di un antilope della prateria.
È diventata amica della sua giovane insegnante, questo sì.
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