I libri scelti da Andrea Salonia
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Credo che un libro così dovremmo leggerlo un poco tutti.
O meglio: tutti attraversiamo almeno un momento tanto particolare nel corso delle nostre esistenze da rendere utile, fin necessaria, la lettura di un romanzo come Naif.Super.
Naif.Super esce per la penna di Erlend Loe, scrittore norvegese classe 1969, nel 1996; io l’ho lasciato sullo scaffale delle librerie più volte, non avendone colto immediatamente la bontà.
Erroraccio, ma forse c’è un buon momento per ciascun libro, un giusto momento. Da noi viene pubblicato da Iperborea, e va da sé che fin dalla scelta della copertina è un libro delizioso. Perché è delizioso proprio tutto. Dall’incipit – straordinariamente concreto, efficace, che quasi mi parrebbe mutilato: “…Ho due amici. Uno buono e uno cattivo. E poi ho mio fratello…” – alle pagine successive, davvero la più parte di loro. Semplici, con parole materiche e senza fronzoli lessicali, simboliche ma al tempo consistenti, quasi palpabili. Un esempio, l’elenco – proprio fatto a elenco – di ciò che il protagonista riferisce di non avere: progetti; entusiasmo; una ragazza; la sensazione che le cose abbiano un senso e che tutto alla fine andrà bene; un carattere vincente; e un orologio. Ecco, un elencare stati emotivi insieme a concretezza che spiazza, con un costante filo di umorismo, con un disincanto che a tratti potrebbe essere fin sardonico.
Loe racconta di un giovane uomo, di cui non rivelerò il nome, studente universitario che sembrerebbe aver abdicato alla vita per come era stata costruita (da lui o da altri? difficile dirlo). E ciò non per un piano numero due (mi viene immediatamente da pensare a Paola Mastrocola e al suo Non so niente di te, là dove il protagonista si costruiva una fantasiosa e irriverente alternativa alla vita che i suoi si sarebbero attesi da lui, al destino che “ci si aspetta” dalle persone; bello, e molto, pure quel romanzo…che lessi d’un fiato a Londra, in metropolitana, nel tragitto tra casa e l’ospedale dove mi trovai a lavorare per un periodo, breve per fortuna, e le parole lette in fila indiana mi servirono moltissimo come rimedio alla tristezza, utilissime anestetico al disagio).
Ora, il personaggio di Naif.Super “cerca”, pur senza troppo cercare. Perché è sì naïf, pur non essendolo affatto, magato e assieme disincantato (o così a me è parso). Lancia una palla contro un muro, e aspetta che questa ritorni all’ovile, lancio dopo lancio, per essere nuovamente lanciata. Martella ripetutamente su un bancone da falegname, così da riempire il tempo senza che il tempo si riempia di ciò che potrebbe avere un ruolo strutturato, rischiando di distoglierlo dai suoi pensieri ricorrenti attorno ad altri pensieri, un bolero di pensieri. Si chiede chi lui sia: un gentiluomo? Forse che sarà felice più tardi? E quali gli siano cose essenziali, e percepisce come molte di quelle gli manchino. Riconosce di mancare di una direzione generale, una visione globale, senza per questo essere uno stupido. Comprende pienamente di non poter far finta di ciò che invece sa, di ciò che conosce perfettamente, perché giorno dopo giorno le cose apprese lo hanno portato dov’è (io incessantemente torno al mio amico Alberto Garutti e alla sua opera distesa in Piazza santa Maria Novella a Firenze: ciao Alberto!), pur senza essere tra quelli capaci di far la differenza. Poiché probabilmente non è necessario spiccare, far la differenza, appunto.
Una delle frasi che ho davvero adorato, e che più mi hanno sconvolto, perché vere e terribili: “…La prospettiva è una di quelle cose che si dovrebbe poter comprare e somministrare per via endovenosa…”. Provate a confutare quanto Loe scrive; io non sono riuscito, e anche per questo motivo Naif.Super mi è tanto piaciuto.
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Erlend Loe, Naif.Super, Iperborea, Milano, 2002