“VENERDÌ RE-VERSO”
“Voglio volare nella luce improvvisa. Voglio sapere cosa significa avere una ragione per danzare. Voglio tutto l’amore che c’è”.
Ogni capitolo costringe a tornare un po’ indietro: a quelle poche righe citate all’inizio, stralci del Paradiso perduto di Milton. Si torna indietro per rileggerle e posarle sulle pagine a seguire, come un lenzuolo di senso che ci aiuti a capire. È un movimento necessario, tornare indietro per meglio comprendere, o almeno provarci. Verrebbe da farlo con l’intero libro, una volta terminato, ricominciarlo da capo con il senso illuminato dal finale. Forse lo faremo, per ora qualche parola, di certo poco illuminata, che sa di tentativo, non crediamo si possa fare altrimenti.
Estate 1984: il diavolo arriva a Breathed, cittadina dell’Ohio, divorata dal caldo più asfissiante di sempre. Ci arriva su invito di un uomo che ricorda subito l’Atticus Finch de Il buio oltre la siepe. Un uomo dalla moralità indiscussa, l’uomo che usa il setaccio della giustizia per togliere un po’ di male dal mondo. O almeno ci prova, senza arroganza, come se fosse l’unica cosa che si possa tentare di fare. Il diavolo è un ragazzino di colore, magrolino, con gli occhi verde foglia, ricordo di un Eden mai dimenticato. Salve, mi avete chiamato?
Il ragazzino viene adottato dalla famiglia dell’uomo giusto, il quale ha una moglie stupenda che non varca la soglia di casa per timore della pioggia, un figlio grande che è l’adolescente modello di tutto un sogno americano, un figlio piccolo che ci racconta la storia, prova a tirare le fila dalla fine della sua vita, una fine miserabile di abbandono e solitudine, con la quale inizia ogni capitolo. Ed è un po’ a questa fine che cerchiamo di arrivare per tutto il romanzo, vogliamo sapere come ci è arrivato.
Nel frattempo a Breathed accadono fatti inquietanti, strane tragedie, irrimediabili perdite, nell’aria bollente di quell’estate ognuno sembra avere un motivo per incolpare il diavolo di ogni disfatta. Che abbia le sembianze di un bambino non sembra toccare nessuno all’infuori della famiglia che lo accoglie, come un figlio, dal primo all’ultimo istante.
Pensate a tutto quello che può accartocciarvi lo stomaco: razzismo, omofobia, insensate morti accidentali, violenza domestica, pregiudizi di ogni sorta, il male in tutte le sue forme visibili. Mescolate, diluite con una scrittura più che scorrevole, e otterrete all’incirca il contenuto di ogni capitolo. Al di là di ogni ragionevolezza, il male assoluto avvolge questa non più ridente cittadina e trova il suo capro espiatorio in colui che, a voler sentire le scritture, ne è l’origine comprovata: il diavolo.
Per circa 400 pagine Tiffany McDaniel ci interroga: cos’è il male, chi è il diavolo, esiste un dolore che abbia senso, una perdita che si possa affrontare senza cercare un colpevole? La densità delle sventure paradossale e straordinaria non fa che sintetizzare una vita qualsiasi in un’estate, tutto quel che di peggio può incontrare un uomo per la sua strada: eventi che normalmente ci paiono distanti e scollegati, tutti racchiusi in uno sguardo, in un movimento di caduta più rapido, ineluttabile. In qualcosa che sembra fuori da noi e che invece è domanda comune, metafisica e ostinata, insita nel cuore e nella ragione dell’uomo: ma perché? Nella vita capita spesso di perdere il filo della comprensione, l’interrogativo esistenziale ci attanaglia seguito da risposte poco affidabili cui scegliamo di aggrapparci più o meno saldamente. Finanche la risposta più rassegnata, più serena, l’accettazione dell’ insensatezza, offre sostegno ai nostri passi, ci aiuta ad arrivare ad una fine. Alla fine di questa estate, siamo spaesati, oppressi, con più domande che risposte.
Ci pare che McDaniel non abbia voluto dispensarne, rimangono in quell’aria sospesa prima della tempesta, del temporale che non devasta ma purifica, biblico, epico, totalizzante. Questo libro riecheggia tante altre pagine già lette, eppure ripropone la necessità della domanda, lo sguardo allo specchio che non può essere evitato, nemmeno dopo una vita di letture, di studi, di ricerca. Non è che ci si senta troppo bene dopo averlo terminato; ci piace pensare che questo malessere sia dato da un movimento, da uno stiracchiacchiamento dell’animo dato da certa scrittura, simile alle parabole nere che escono dalla bocca del diavolo e non del Cristo salvatore. Un vangelo che non salva, ma tiene svegli. In tutti i sensi.
Recensione di Delis
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Tiffany McDaniel, L’estate che sciolse ogni cosa, Atlantide, Roma, 2016
Edizione originale: The Summer That Melted Everything, Scribe Publications, 2016