“VENERDÌ RE-VERSO”
“…dove il tuo corpo annunciava […] la sua presenza lì, in balia del tuo apprendistato laborioso dell’opera del mondo.”
Il 15 ottobre 2024 è morto Antonio Skármeta.
In molti hanno visto “Il postino” interpretato da Troisi, non altrettanti hanno letto quel capolavoro di umanità e letteratura che è “Ardente paciencia”, tradotto in italiano come “Il postino di Neruda”. Pochi giorni prima della morte di Skàrmeta, infervorati da una chiacchierata su quel titolo, decidiamo di iniziare questa raccolta di racconti, per lo più inediti, data alle stampe solo pochi mesi fa. Ebbene.
Prima persona: sono tutti racconti in prima persona. Tredici voci, tredici sguardi – con un’unica eccezione – giovani, affacciati alla vita, alla sua manifestazione più pura ed evidente, un passo prima di tutte le spiegazioni, gli sguardi di quelli che hanno ancora tutto “per possibilità”. Ragazzi, bambini, giovani uomini: è un universo molto maschile, che vibra di adolescenza e testosterone, di gesti impacciati, buffi soprannomi, emozioni che non sono facili da nominare come invece le cose; ci sono nidi da lasciare, turbamenti che non sono ancora amori, intuizioni. È tutto un mondo in divenire, un libro che deve essere ancora scritto (molti di questi “io” scrivono, vorrebbero scrivere, scriveranno). C’è il Cile, dappertutto, anche a Roma o in Portogallo, c’è la terra e quel sentire, quel calore nelle parole. Ci sono corpi fatti di parti inesplorate e sconosciute, e padri e nonne, e una furia di vivere ma: gioiosa.
Ciascun racconto racchiude una piccola epifania, ferma il cuore su un’illuminazione fugace e definitiva, sorta di presagio: come una sensazione d’aver capito qualcosa, su come funzionano gli uomini o su se stessi o sul modo in cui si camminerà nella vita da lì in avanti. Una pausa nella vibrazione dell’esistenza che precede le disillusioni e i fallimenti, in cui tutto, per un attimo, si fa chiaro.
Infanzia e adolescenza nelle parole di Skàrmeta non sono solo traumi e inquietudini laceranti. In questi tempi di memoir e impegnatissimi resoconti di ferite non dimentichiamo che esiste nella giovinezza, a prescindere dalla violenza degli accadimenti, una pulsione indomabile all’intensità della vita, all’enormità della vita. Ed è una faccenda così grande che in un corpo così piccolo può rivelarsi schiacciante nella sua incomprensibilità; ma quando Guccini canta “perché a vent’anni è tutto ancora intero” ci ricorda che se anche siamo stati giovani tristi o disperati, in quella disperazione bruciava sempre una bramosia tremenda, come di felicità. Poi ti fanno a pezzi, ma a vent’anni…
Dovendo consigliare – dovendo – a un ragazzino qualche pagina che lo aiuti a capirsi un po’, forse, insieme alla confusione statica del giovane Holden (che pure coltivava un sogno dolcissimo), potremmo davvero mettergli in mano questi racconti, così come “Il postino”, dove anche il sesso è spontaneo, vitale ossia parte della ricchezza della vita, non sempre e solo tossicità e feticismi. L’urgenza a parlare di questioni problematiche non dovrebbe privarci della memoria di quel po’ di bellezza che ci abita. Questi racconti puzzano di innocenza e sudore, di inizi e di domande immense:
-Cosa vuoi? – gli dissi.
-Capire. – disse.
-Capire cosa? – insistetti.
-Tutto.
Skàrmeta ha trovato parole leggere (“Il culo di Juan Carlos era un culo assolutamente felice”), rivelazioni concrete, nessun abbellimento, nomina la vita nel suo momento più prepotente, fatelo leggere ai giovani che non sanno ancora spiegare come ci si sente, leggetelo voi per sentirvi un po’ meno in frantumi.
Recensione di Delis
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Antonio Skármeta, I nomi delle cose, Einaudi, Torino, 2024
Edizione originale: Los nombres de las cosas que allí había, Alfaguara, Madrid, 2019