Il collo mi fa impazzire

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“VENERDÌ RE-VERSO

“Era orribilmente chiaro che la mia vita fino a quel momento era stata un errore.”

 

Ci sono libri che andrebbero prescritti in farmacia: leggere 5 pagine al giorno. Indicazioni terapeutiche: allevia e riduce il male di vivere (e subito ci appare un giovane Leopardi intento a carpire i segreti dell’universo femminile e, soprattutto, del buonumore).

“Il collo mi fa impazzire” ci ha ricordato una raccolta di saggi più recente, quella di Rachel Cusk (Coventry, Einaudi, 2024), la quale però non è dotata dello stesso pervasivo umorismo. Ad accomunarle è un certo senso di onestà, sono donne di generazioni diverse eppure il loro modo di stare nella società, nella famiglia, nella maternità e in un corpo di donna è caratterizzato dalla stessa postura fragile e forte insieme che ci fa sentire un po’ più a nostro agio con le difficoltà del mondo. Una maniera di stare a testa alta nel mezzo di uno tsunami. Leggere queste donne è davvero, profondamente, consolatorio. Perché ci siamo trovati a ridere delle nostre ingenuità, delle contraddizioni, delle piccole e grandi fissazioni – abbiamo riso di quella battaglia tutt’altro che divertente che consiste nell’accettarsi ogni giorno per quel che si è.

Abbiamo guardato nel fondo dei nostri errori come Ephron guarda nel fondo della sua borsa: con…benevolenza? Rassegnazione? Forse solo gentilezza. C’è un capitolo tra gli altri particolarmente caustico, s’intitola “La manutenzione” – termine che ci hanno insegnato ad accostare a parole più poetiche come “sensi” o “affetti”. Ephron se ne guarda bene. Parla di peli, di chili, di pelle. Dice sostanzialmente che la manutenzione è tutto quel che si fa per non doversi nascondere di fronte alla malaugurata apparizione di un ex, che magari ci ha pure scaricato. Archetipica manifestazione del disagio. Come direbbe un celebre stand-up comedian “OF COURSE…” non dovrebbe importarcene una fava, “…BUT MAYBE” un filino ci importa, in fondo in fondo non vorremmo pensasse “l’ho scampata bella”, ecco.

Potremmo polemizzare ma non lo faremo, accetteremo invece il fatto che usiamo, chi più chi meno, una parte del tempo che ci è concesso in questa vita per ottenere un riflesso dignitoso allo specchio; in un periodo storico definito dal mantra del “devi piacere a te stessa/o”, “vai bene così come sei”, leggere questo capitolo allevia un poco la vergogna per tutta quella consorteria di stratagemmi, più o meno visibili, che adoperiamo ogni mattina per affrontare il resto dell’umanità.

Ancora una volta, Ephron non fa nulla per mascherare i suoi privilegi, il suo status, la realtà in cui vive: non sono certo standard che si applicano a tutte e tutti, lo sa bene. Ma tutto, tutto, sta nel modo in cui si racconta: l’autoironia la salva, ci salva. Quanto ha senso davvero prenderci sempre sul serio? Non ammettere le debolezze e allo stesso tempo ingigantirle dentro di noi, facendole diventare enormi, talvolta paralizzanti? No, signori della giuria, non ha senso. Non sfuggiremo alle nostre bassezze, al fatto che ancora pensiamo a certe frasi che ci ha detto mamma, al fatto che per quanto ci impegniamo potremmo non essere i genitori che avremmo voluto essere, al fatto che alcune cose avremmo voluto saperle prima ma ehi, non le sapevamo. Non sfuggiremo agli amori sbagliati, alle mode, ai tentativi falliti di essere felici. Non sfuggiremo al non poter far niente per gli amici che se ne vanno prima del tempo, alle cose che avremmo voluto dire. Quindi? In ogni pagina la risposta: fate del vostro meglio. Vivete. “Puoi ordinare più di un dessert”.

 

Recensione di Delis 

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Nora Ephron, Il collo mi fa impazzire, Feltrinelli, Milano, 2007

Edizione originale: I feel bad about my neck, Alfred A. Knopf, 2006

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