I libri scelti da Andrea Salonia
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Ho letto Adattarsi, romanzo di Clara Dupont-Monod, pubblicato da Edizioni Clichy nella traduzione di Tommaso Gurrieri. Come lo abbia incrociato? Forse per quello strano fiore rosso in copertina? In realtà non lo so proprio, a testimonianza di come spesse volte le cose del vivere accadano in quell’esatto mentre in cui siamo intensamente indaffarati a far altro e un’immagine un suono una mezza parola arrivano a metter confusione, ed ecco che una suggestione giunge, facendoci prendere scelte e decisioni, perfino importanti talvolta.
Adattarsi è un romanzo diviso in tre atti, come tre dei quattro figli della famiglia francese di cui si narra, che non hanno nome ma solo una definizione cronologica: il maggiore, la minore, l’ultimo.
All’appello ne manca uno, il quarto figlio appunto, anche lui senza nome: il bambino, che c’è e poi muore. Ma il suo esserci, pur nella brevità della sua esistenza di bambino – che non sarà adolescente, giovane adulto, adulto e poi vecchio – è di tale potenza emotiva da lasciare attoniti.
Adattarsi non narra della malattia del bambino pro captatio benevolentiae, come ci si sarebbe potuti aspettare, e come accade in certa letteratura che non amo. La Dupont-Monod non descrive le stigmate dello sfortunato, pur dovendo contestualizzarlo in uno spazio e in un tempo che diano contorni al disagio dell’essere-bambino che non può che sentire i suoni e odorare gli odori dell’intorno. Nulla più, ma sufficiente per testimoniare la propria esistenza. La Dupont-Monod, invece, descrive la presenza del bambino attraverso e per mezzo del percepito degli altri, i fratelli, i primi due coevi alla breve vita del disabile, l’ultimo successivo, ma per molti versi perfetta rappresentazione degli accaduti del prima che lui stesso venisse al mondo. E tutto ciò raccontato in terza persona, con un bel colpo di genio: sono le pietre a raccontare gli accadimenti, le smorfie, le risa, i pianti, le urla, gli strepiti, le gioie piccole e grandi, il trascolorare delle stagioni, l’acqua che rivola nel torrente, le mele cadute, i ciuffi d’erba, la scuola, i dolci di arancia, e tutto il resto. Son le pietre del cortile di questa casa che mi sono immaginato tipicamente francese, con le mura a rettangolo a perimetrare lo spazio antistante all’ingresso, e una porta con qualche gradino per accedervi, le finestre a guardare il cielo, suddiviso in riquadri come spesso capite di vederle nella campagna della Gallia. Sono le pietre che raccontano di come ciascuno dei fratelli – ciascuno di noi, a ben pensarci – si adattati. Di come ci si riesca ad adattare alle cose tutte, meravigliose o drammatiche esse siano. Ci si abitua alla mancanza. Si accetta un evento tragico, e ci si acclimata a una situazione emotiva non piacevole, arrivando ad accomodare al meglio, o al peggio, un evento altrimenti non accettabile.
Tutto si aggiusta. A tutto ci si adeguata, talvolta ottimamente, talaltra alla meno peggio, magari con qualche cicatrice fastidiosa, o anche dolorosa. Ci si allinea a ciò che è dritto e che non può essere armoniosamente curvo come desidereremmo fosse. Ci ambientiamo nelle situazioni emozionalmente complicate, causa di gioia – con facilità, bisogna ammetterlo – come pure di dolore grande. Si aggiustano le fratture, quelle delle ossa, quelle dell’animo. Ci si assoggetta, a questo o a quel dictat, razionale o irrazionale esso sia (in particolare i non tanto impavidi lo fanno, proprio come me). Ci si confà a quanto si deve essere o si deve fare, e lo si fa volenti o nolenti, e spesso trovando risorse interiori così nascoste laggiù laggiù che mai avremmo pensato ce ne fossero. Ci si conforma, ci si uniforma, ci si mimetizza, come gli insetti sulla corteccia, camaleonti che acquisiscono il colore attorno. Si sopporta, si subisce, ci si obbliga a sottostare, si impara a farlo al meglio, uniformandosi all’ambiente circostante, granelli di sabbia nella sabbia, ciottolo perfetto tra i ciottoli. Ci si incastra come tessere di un puzzle tra le altre tessere, a dar forma alle immagini, e lì si scompare.
Mi spaventa molto quando è la rassegnazione a prendere il sopravvento, quando è questo pervicace sentimento a guidare il nostro adattarsi alle situazioni. Quando le situazioni arriviamo a calzarle come fossero una pantofola attorno al nostro vivere, e la più comoda, calda d’inverno e freschissima nei mesi estivi.
Adattarsi è un romanzo durissimo, un pugno nello stomaco. Un romanzo che fa riflettere, che ti mette in discussione, che ti strazia e che non potrà lasciare indifferenti. Adattarsi non è acqua sul marmo.
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Clara Dupont-Monod, Adattarsi, Edizioni Clichy, Firenze, 2022
Edizione Originale: S’adapter, Paris, Stock, 2021