Lutto

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I libri scelti da Andrea Salonia

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Sbaam!

Una porta in faccia. Un pugno alla bocca dello stomaco, violento. Un calcio negli stinchi. Una goccia che ci cade nel centro esatto della testa, cade e cade ancora, pervicace, prepotente. E tutti questi sentire insieme.

Questo è stato incontrare le pagine di Lutto dello scrittore argentino Edgardo Scott, ricevuto in dono sotto l’albero dell’ultimo Natale, con alcuni altri libri, ma da subito capace di attrarmi come una malia, facendosi leggere per primo. Magato, fin dal titolo, e gli occhi mi ci sono buttati letteralmente sulle parole che scorrevano una dopo l’altra, pure loro affatturati.

E poi quella casa editrice, di cui nulla sapevo: arkadia (arkadiaeditore.it ), non poco misteriosa, proprio come l’isola ruvida dove abita a occidente del Mar Tirreno, e tanto bella come le parole di chi questo libro ha deciso di pubblicarlo: “Per noi il libro è atto d’amore, luogo di libertà”. Per me leggere è necessità, ficcarmi nel sogno e trovare chiaro oltre la siepe; scrivere è passione violenta e viscerale. Perciò tra i libri impilati un sull’altro, dopo aver spacchettato i miei doni di Gesù Bambino, la scelta è caduta subito e d’obbligo su Lutto, senza neppure rifletterci.

Lutto con la sua signora in blu che pare saltar fuori dalla copertina, foglie a vestirla, lei appoggiata su un letto di sangue, sdraiata sulle strade di una Baires da sempre capace di esercitare un’attrazione fin sensuale nei miei confronti, e ancora ci devo andare per la prima volta. Ora, si dirà, non è possibile che tutti i libri letti siano libri che sia valsa la pena di leggere, almeno per il gusto personale, per il fraseggio, per l’intensità, il lessico, il tema o i temi, o altre mille qualità o per l’assenza di ciascuna di quelle. Vero! Qui, però, è proprio il tipo di impressione che suscita il tutto che mi ha lasciato contento di aver letto Lutto, ma soprattutto l’originalità della vicenda narrata, l’asciuttezza con cui è stata scritta – deliberatamente, a mio avviso, benché non trapeli elemento alcuno di falsità o bonomia e neanche una captatio benevolentiae.

No, anzi. Qui è raccontata la vicenda di un uomo dopo la morte della moglie – del cui accadimento non svelerò nulla – con la descrizione del suo lutto che è magra e realistica, ma impossibile al tempo stesso. È raccontata la vita che scorre in un quadrato di case, e sempre quelle, dove si sviluppa un “far west” che pare contemporaneamente incredibile e verissimo, esatto esatto per alcune delle molteplici suggestioni legate a quella certa produzione cinematografica americana che stavano a indicare un territorio con leggi proprie e spietate, o al contrario la totale assenza di norme e regolamenti efficaci. Così che uno si alzi al mattino, acquisti un bel fucile, se ne esca di casa e spari, uccidendo una vita “sospetta”, lasciandola per strada, continuando comunque a camminare come se nulla fosse stato.

E queste mie osservazioni non sarebbero ancora bastanti a descrivere il tipo di sensazione che Lutto ha lasciato attaccate alla pelle dopo l’ultima pagina, soprattutto se non si sottolineasse come il vivere del personaggio dopo la perdita della moglie – nei confronti della quale lo scrittore non chiarisce ben bene nel dettaglio quanto amore, affetto o necessità il “povero” marito davvero nutrisse – fosse un vivere sospeso nel quotidiano, nell’attesa che qualcosa dovesse accadere. E le parole mi hanno indotto proprio a presagire questo, senza che mai e poi mai venisse svelato alcunché, nella semplicità di un’esistenza scarna e grandemente egoistica, quale quella che Edgardo Scott veste attorno al corpo del suo personaggio principale.

Come nel cinema, inoltre, vi sono i caratteristi, e nel romanzo ne compaiono almeno un paio davvero interessanti, con sconfinamenti talvolta acuti, aceto sull’insalata, talaltra più morbidi nella quotidianità del nostro vedovo. Ma pure loro eccoli lì, sempre a dar corpo alle giornate che devono succedersi l’una all’altra quasi dogmaticamente: mi alzo, scendo in negozio, alzo la serranda, faccio cose, vedo o non vedo gente, vendo o non vendo oggetti, accendo un fuoco, mangio, dormo, eccetera eccetera; così, nulla più, ma con un tocco di durezza tanto pura da diventare sudore freddo, non consentendoti di rimanere neutro e neutrale.

Ed è quindi per queste sue caratteristiche a tutto tondo che Lutto o lo si apprezza o lo si detesterà. A me è parso molto interessante, e ha perfino acuito quel desiderio di andare a Buenos Aires, con le sue favoleggiate milonghe, le case colorate e i grandi viali, gli italiani che sono argentini e rimangono italiani, i ricordi bui di anni tanto tanto bui vissuti nei decenni scorsi, e lo splendore che vivacità e melanconia sanno produrre insieme. Una realtà urbana, quella della Baires odierna, che son certo sia lontana tanto da quella del quartiere raccontato in questo romanzo, fosse anche solo nel tempo, quanto nella percezione della gente che ci abita. Ma il meraviglioso del leggere non vive proprio nel lasciarsi condurre dalle lettere che si fan parole e poi frasi e poi pagine, dandoci l’impressione che le cose siano o totalmente vere o totalmente false, ma ripiegata l’ultima di copertina saranno soltanto le emozioni a rimanerci appiccicate e ad avere reale valore, forse anche più dei contenuti letti? Non è forse così?

E allora, buona lettura… siempre.

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Edgardo Scott, Lutto, Arkadia, Cagliari, 2021

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